Saman, ecco chi cerca di assolvere l’islam

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Qualche giorno fa è uscito sul Corriere della sera un articolo di Gian Antonio Stella in cui si parlava di una vicenda accaduta una settantina d’anni fa in Sicilia: una ragazza incinta, accusata di incesto con il fratello, era stata spinta sotto il treno e uccisa da suo padre. Un classico e triste “delitto d’onore”, che trovava spiegazione ma non giustificazione in una cultura atavica, forse addirittura (anzi senza forse) pagana e pre-cristiana. Oltreché nella povertà estrema di certe zone rurali del nostro Paese. La chiusa dell’articolo era però la parte più significativa, perché Stella metteva in chiaro dove volesse andare a parare: il padre di Vincenza, così si chiamava la sfortunata, “non era un padre immigrato, non era pakistano, non era islamico“. Come dire? Non giudichiamo con troppa facilità e senso di “superiorità” la famiglia di Saman perché situazioni del genere sono capitate nel nostro Paese fino all’altro ieri.

La differenza tra noi e loro

Un’opinione assolutamente non condivisibile, nella sostanza, a cui però bisogna dare molto credito per due motivi: da una parte, perché è molto diffusa; dall’altra perché è molto semplicistica, una scorciatoia che il “pensiero breve” dei nostri tempi fa propria con molta facilità. E con la conseguenza di non farci capire ove è il punto della questione. Una prima differenza macroscopica risalta già dall’articolo di Stella, che riporta la cronaca del Giornale di Sicilia che usava parole furenti sull’accaduto stigmatizzando il gesto “spietato e disumano”, criminale, del padre di Vincenza. Lo Stato con i carabinieri, la Chiesa con i preti, le istituzioni tutte, erano, e non poteva essere altrimenti, dalla parte della vittima. È così anche nei paesi islamisti di fronte a episodi analoghi? Non sembrerebbe proprio, e per un motivo molto semplice: la commistione che per principio ivi si realizza fra i dettami della religione e quelli del potere politico. Una commistione che in Occidente non c’è mai stata, sia perché la forza della nostra parte di mondo è consistita sempre, sin dal Medioevo, in una sana e dialettica contrapposizione fra Cesare e Dio, Impero e Papato; sia perché questa distinzione è teorizzata nello stesso Vangelo; sia perché la nostra è una religione che, nel principio, difende in ogni relazione di potere la parte debole da quella forte. Oltre a perdonare e non condannare i reprobi perché tutti siamo dalla nascita segnati dal “peccato originale” (che è l’origine ideale dei concetti liberale di perfezione – fallibilismo).

L’illusione multiculturalista

Probabilmente, nel loro Paese molti islamici sarebbero in piena regola col diritto e le leggi dello Stato. Ed è qui che si pone sia l’imbarazzo delle associazioni islamiche nei Paesi occidentali di fronte a certi episodi; sia il punto critico del ragionamento: può un Paese ospitare una comunità che vive in una doppia regola o fedeltà, quella meramente formale delle leggi dello Stato ospitante, e l’altra, sostanziale, dei principi in cui crede? Non ci sarà prima o poi un punto di tensione? E può lo Stato dismettere anche all’interno la propria sovranità? L’insorgenza ultima dei populismi e dei sovranismi, che in sé non sono stati e non sono una soluzione, è dovuta proprio alla fine tragica dell’illusione multiculturalista. Anche se le classi intellettuali progressiste, sempre in ritardo con la storia pur credendo di essere avanti, non hanno ancora fatto i conti con questa disillusione. Ne va della stessa nostra civiltà occidentale, se è vero che c’è un punto critico in cui si sperimenta con mano il “paradosso di Popper”, cioè il fatto che una “società aperta” anche con i suoi avversari rischia, con le sue stesse regole formali e democratiche, di vedere il predominio nel suo seno dei “nemici della società aperta” (che certamente non sono Hegel e Platone come il buon Popper cercava di dimostrare con troppa filosofica sicumera).

Sotteso al ragionamento di Stella, e di tanti altri, c’è poi un mito che stenta a morire: quello di Progresso. Perché quel che è successo a noi, che siamo passati dal “buio del Medioevo”, in cui perseverava fino a poco tempo fa la bigotta Sicilia, non potrebbe succedere anche in ambito islamico? Che il Medioevo fosse buio è a sua volta un mito illuministico, che non trova molto riscontro nello studio della sua storia. Ma che, in generale, le cose non stiano proprio così, cioè con una storia che procede senza sosta verso il meglio o la perfezione umana, questa età della globalizzazione dispiegata ce lo sta dimostrando ampiamente. Forse un concetto meno progressivo (e progressista) di libertà e liberalismo farebbe bene a noi tutti.

Corrado Ocone, 13 giugno 2021

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