Politica

Schlein fantastica: “Abbiamo riaperto la partita”. Quale?

Conte ammette la sconfitta: “Risultato modesto”. Poi si consola con la Todde. Mentre Elly rilancia il “campo largo” insieme a Prodi

schlein voto sardegna © Panorama images tramite Canva.com

C’è voluta quasi tutta la mattinata per avere le dichiarazioni dei due veri sconfitti delle elezioni regionali in Abruzzo. Elly Schlein e Giuseppe Conte sono rimasti silenti fino a verso mezzogiorno nonostante già ieri sera gli exit poll prima, le proiezioni poi e infine pure i dati reali davano Marco Marsilio tanti (troppi) punti percentuali sopra Luciano D’Amico. Il distacco tra campo largo e centrodestra è tale che “l’effetto Sardegna” non solo non l’ha visto arrivare nessuno, ma è pure svanita quella sensazione di euforia che aveva seguito la vittoria di Alessandra Todde. Oggi appare più chiaro ai leader di M5S e Pd che sull’isola s’è verificato un mezzo miracolo (e mezzo suicidio del centrodestra) e non ci sono ancora i presupposti per fronteggiare i rivali.

Giuseppe Conte è stato tutto sommato onesto: ha riconosciuto il “risultato modesto” del Movimento che è stato sorpassato dalla Lega e pure da Forza Italia, ma che soprattutto ha perso migliaia di voti, passando dal 19,74% del 2019 all’odierno 7%. L’ex premier è convinto che “la scia giusta” sia il risultato sardo, “un segnale da cui ripartire” che però nasconde alcune insidie. Un dato su tutti: in Sardegna il M5S ha comunque preso “solo” il 7,8% contro il 9,74% di cinque anni prima. Certo: ha imposto il suo candidato e l’ha portato alla guida della Regione, la prima Presidente nella storia del M5S, ma più per meriti (di Schlein) e per demeriti (di Meloni) altrui.

Appare invece meno obiettiva Elly Schlein, che non sembra percepire fino in fondo la portata della giornata. Secondo la segretaria Pd, al netto della sconfitta i dem sarebbero “riusciti a riaprire la partita”. Già, ma quale? Sarà anche vero che “fino a qualche settimana fa l’Abruzzo era dato per perso senza discussioni” e che “Marsilio partiva con un vantaggio di 20 punti nei sondaggi”, sarà anche vero che lo scarto è stato ridotto “in modo significativo” e che il Pd è passato dall’11,9% del 2019 al 20,3% di ieri, ma nelle ultime settimane era cresciuta la sensazione di potercela fare. Invece nulla. Sette punti di distanza tra i due candidati non sembrano dimostrare che la partita è stata “riaperta”. Semmai sembra affievolirsi l’ipotesi che il campo progressista possa impensierire quello conservatore. In ambito di coalizione i problemi restano irrisolti: Conte non vuole andare a braccetto con Calenda, Calenda si rifiuta di abbracciare Conte, sulla politica estera Pd e M5S litigano, in quella interna non hanno grandi affinità. E soprattutto il “campo largo” si trova con due leader che sperano di poter ottenere la guida della coalizione. Romano Prodi avrà anche ragione: per stare insieme bisogna “coltivare” l’alleanza, ma a differenza del “suo” Ulivo, al duo Pd-M5S manca proprio un federatore. E comunque la storia insegna che le armate costruite senza condivisione dei valori di base, che il centrodestra può invece rivendicare, rischiano di vincere le elezioni ma di non durare molto nella stanza dei bottoni. Come i governi Prodi.

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