Non vorrei che la sacrosanta battaglia compiuta da Matteo Salvini per la reintroduzione dell’educazione civica fra le materie di studio scolastiche si risolva, in mano a questo governo, che è stato chiamato a dare attuazione alla legge istitutiva, in un clamoroso boomerang per lui e anche per noi che abbiamo creduto in essa. Chi scrive ritiene infatti fondamentale che i giovani possano essere stimolati a comprendere e interiorizzare i valori etici su cui si fonda la cultura del nostro popolo e della Patria, esemplificati fra l’altro nella ricchezza del nostro patrimonio artistico e urbanistico, da accudire e rispettare; quelli civili (dignità, onore, lealtà, ecc,) che devono essere alla base del rapporto con gli altri; quelli politici di libertà e democrazia che sono nella nostra Costituzione e informano le istituzioni del nostro Stato; più in generale, il rapporto dialettico che deve esistere fra individuo e comunità, cioè fra la libertà individuale e i valori della comunità che ne rendono possibile l’esercizio.
Ci sarebbe perciò da stare contenti del fatto che la vecchia demagogia sessantottina che aveva portato all’abolizione dell’educazione civica nelle nostre scuole sia stata messa all’angolo e che da settembre si ritorni all’antico. Senonché, come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli; e il rischio concreto è che quella demagogia, cacciata dalla porta, rientri dalla finestra, casomai aggiornata in nuove e più pervasive forme… Apprendiamo infatti che il nuovo insegnamento dovrà articolarsi, stando alle “linee guida” emanate dal Ministero, lungo tre direttrici: Costituzione, sostenibilità e cittadinanza digitale. Se lo studio dei principi, e forse ancor più dello spirito, della Costituzione italiana rientra innegabilmente nei fini che si richiede ad una disciplina trasversale e obbligatoria come l’educazione civica, l’allargarsi di essa a tematiche caratterizzate politicamente e interpretate secondo una consolidata ideologia mainstream, che traspare già dall’uso di termini apparentemente neutri come “sostenibilità” e “cittadinanza digitale”, preoccupa non poco.
È infatti proprio questa modalità interpretativa, assoluta ed escludente, e che si può presumere predominante anche in un corpo docente molto politicamente caratterizzato quale è quello italiano, che viene a cozzare irrimediabilmente coi principi della libera discussione e del pluralismo delle opinioni che, contro ogni regime di intolleranza, dovrebbe essere lo scopo precipuo di un corso di educazione civica. Almeno che non si voglia tramutare, come ahimé è possibile, in un corso di indottrinamento al politicamente corretto. Della sostenibilità circola infatti, in quel milieu, una versione, per così dire, poco sostenibile, non solo da un punto di vista economico ma anche relativamente agli stessi fini morali ed ecologici che ci si propone di raggiungere.