Si dà fuoco dopo la multa per il green pass: lo strano caso delle “torce umane”

Un episodio accaduto nel Trevigiano, che però dobbiamo stare molto attenti a distinguere dal fattaccio di Rende di una settimana fa. I dettagli

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Cosa sta succedendo in Italia? Perché stiamo assistendo a episodi così sconvolgenti, tali da ricordare quanto accadde all’attivista anticomunista Jan Palach, a Praga, nel 1969? È opportuno fare un po’ di chiarezza e distinguere le informazioni manipolate dai fatti accertati.

Cominciamo dall’episodio sul quale sembrano esserci meno dubbi, dal punto di vista investigativo: a Oderzo (Treviso), il proprietario di un kebab si è cosparso con un liquido e si è dato fuoco. Pochi minuti prima del tragico gesto, avrebbe raccontato a due clienti che, a causa di una «condanna ingiusta», gli sarebbe rimasto poco da vivere. Il trentottenne pakistano, a quanto pare, aveva ricevuto una sanzione perché era stato sorpreso dai carabinieri al lavoro senza green pass. Sono stati gli stessi militari a soccorrerlo; è stato ricoverato, in condizioni critiche, ma non sarebbe in pericolo di vita.

Una reazione evidentemente spropositata, ma indicativa della cappa che è calata nel nostro Paese: mentre il presidente della Repubblica parla di «dignità», c’è gente, fragile e psicologicamente provata, che non sta reggendo all’ennesimo sistema discriminatorio messo in piedi per distinguere gli obbedienti, meritevoli di una parvenza di libertà, dai renitenti (il meccanismo che, molto adeguatamente, il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, ha definito di «premialità»).

Il secondo episodio è decisamente più controverso. A Rende (Cosenza), un insegnante di 33 anni, una settimana fa, si è dato fuoco davanti alla locale stazione dei carabinieri. L’uomo è stato ricoverato al Cardarelli di Napoli e non è fuori pericolo. Su questo fattaccio, il Web si è scatenato: in un primo momento, era circolata l’ipotesi per cui il docente sarebbe stato sospeso dal lavoro in quanto sprovvisto di certificato verde. Addirittura, delle vere e proprie catene, diffuse sui social e sulle app di messaggistica, avevano diffuso la notizia che il poveretto fosse morto. In una nota, la famiglia ha smentito che il tentato suicidio sarebbe stato una forma di protesta contro il green pass: «Al nostro parente», si è letto in un comunicato, «erano già state inoculate le prime due dosi di vaccino e si era in attesa della terza. Chiediamo silenzio e rispetto del dolore e della privacy».

Dunque, in questo caso, i moventi non avrebbero a che fare con il lasciapassare Covid. Un dettaglio che dovrebbe suggerire prudenza nella valutazione di certe, delicatissime e intricatissime vicende.
Ormai è difficile districarsi nel labirinto di disagi che anche la pandemia ha contribuito ad accentuare: quante di queste fragilità interiori sono dovute a due anni di restrizioni? A difficoltà economiche? Ai provvedimenti discriminatori messi in atto dal governo? A ragioni familiari, all’apparenza slegate dalla situazione sanitaria e politica, ma magari deflagrate proprio a causa delle crepe che questi due anni di emergenza e terrore hanno allargato in molti di noi?

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