Silvia Romano non diventi il trofeo del fondamentalismo islamico

Il rimpatrio della cooperante è diventato uno spot per i suoi aguzzini

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Il ritorno in Italia della cooperante Silvia Romano è stato salutato con giubilo, perché quando una giovane vita è sottratta alla prigionia dei terroristi islamici la gioia prevale su qualsiasi altro sentimento. La ragazza milanese mossa dal nobile ardore altruistico si volle dedicare ai bimbi del Kenya, poi il rapimento per mano del gruppo terroristico di Al-Shabaab ha interrotto la sua missione filantropica con una lunga reclusione di 18 mesi. Il suo percorso di vita ha subito una brusca deviazione e in quei mesi di prigionia si è lasciata folgorare sulla via di Allah, convertendosi alla religione in nome della quale il fondamentalismo compie efferati crimini.

Lo Stato italiano per intercessione dei servizi turchi ha versato un sostanzioso obolo per il rimpatrio di una ragazza che progetta il ritorno nel Continente nero per ricongiungersi con il suo carceriere divenuto, pare, suo consorte. La Romano ha ripudiato le sue generalità anagrafiche per adottare la nuova identità religiosa con il nome di Aisha, presentandosi all’aeroporto di Ciampino imbustata in una veste verde, che richiama l’abito musulmano, ed elogiando il trattamento ricevuto durante la detenzione. Il rimpatrio della prigioniera è diventato uno spot per i suoi aguzzini che ci hanno fatto esporre il trofeo della loro violenza sulle donne, ritenute dalla cultura dell’estremismo islamico inferiori e sottomesse ai soprusi maschili.

Il premier Conte e il ministro Di Maio in preda all’attention whore, l’indomabile ricerca di attenzione che è un fenomeno contemporaneo che esaspera ogni momento da cui poter ricavare popolarità, hanno celebrato il rimpatrio di Silvia pensando di ottenere un utile ritorno mediatico, ma hanno inconsapevolmente magnificato il prodotto della repressione terroristica che è riuscita a plasmare e coartare l’identità di una ragazza. Ognuno è libero di convertirsi alla religione che vuole, il nostro sistema liberale autorizza la libertà di culto, che è negata nei regimi teocratici e dallo jhadismo, ma nutriamo qualche dubbio sulla spontaneità nel cambiamento di fede della ex prigioniera che ha proiettato nei fotogrammi che raccontano la sua riconquistata libertà le catene dell’asservimento.


Ali Dehere
, portavoce del gruppo terroristico di Al-Shabaab, ha dichiarato che l’ammontare del riscatto pagato dall’Italia verrà utilizzato per acquistare armi, prospettando una recrudescenza delle azioni terroristiche con ulteriori vittime innocenti in nome della guerra santa. Dunque, seppure gioiamo per la vita illesa della giovane Silvia Romano, permane lo scetticismo sull’opportunità di partecipare ad una sorta di ovazione della conversione con un tornaconto di immagine per il fanatismo terroristico di matrice islamica che ha l’obiettivo, non dimentichiamolo, dello sterminio degli “infedeli” e un rapporto di supremazia nei confronti delle donne che sono oggetto di brutali persecuzioni.

Pertanto, ci auguriamo che il sistema mediatico non trasformi, inconsciamente, Silvia Romano nella medaglia di propaganda del fondamentalismo da cui ci separa, in modo irriducibile, la nostra cultura ispirata al rispetto della vita e delle donne.

Andrea Amata, Il Tempo 13 maggio 2020

 

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