Sindacati senza vergogna: in arrivo il nuovo sciopero

L’annuncio del blocco dei trasporti per il prossimo 15 dicembre. Salvini: “Farò tutto quello che la legge mi permette”

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Landini sciopero

I sindacati non mollano. Anzi, sono già pronti a rilanciare con l’ennesima giornata di astensione ideologizzata dal lavoro. Lo sciopero nazionale precedentemente previsto per il 27 novembre, e poi annullato in seguito alla decisione del ministro Salvini di intervenire attraverso la precettazione, dovrebbe infatti essere riprogrammato per il prossimo 15 dicembre. Un altro venerdì, ovviamente. Ebbene sì, neppure il tempo di archiviare una protesta, che già le organizzazioni sindacali tornano in trincea per riprendere la lotta dura e pura in funzione antigovernativa.

Dopo il tentativo, miseramente fallito, di interrompere la solita routine pre-weekend e spostare lo sciopero al lunedì, ecco il ritorno (non gradito) del grande classico del venerdì. Il giorno più amato dai sindacati, evidentemente. E anche in vista del prossimo appuntamento, manco a dirlo, non dovrebbero mancare i consueti disagi per i viaggiatori (quelli non mancano mai), causati dai ripetuti stop imposti al trasporto pubblico. Ecco pronto ad innescarsi così il solito perverso paradosso tipicamente sindacale: nell’intento di tutelare il lavoratore si danneggia il cittadino, e di conseguenza un altro lavoratore. Illogico, si, ammesso che le reali intenzioni dei sindacati siano effettivamente rivolte all’interesse dei lavoratori.

Il dubbio sorge spontaneo. Perché, delle due l’una: o la dura lotta sindacale di questi mesi è figlia di una sfrenata esigenza di tutele, oppure, molto più probabile, dietro la perenne protesta si cela ben altro. La politicizzazione dello sciopero al solo scopo di fare opposizione a un esecutivo ideologicamente contrapposto, nel caso dei sindacati. L’irresistibile voglia di incrociare le braccia e allungare di un ulteriore giorno il fine settimana, nel caso degli scioperanti. Contrariamente, non troverebbero spiegazione le ripetute manifestazioni, scadute ormai in una mera routine settimanale, che producono il solo effetto di innalzare il livello dello scontro nel paese e arrecare disagio alla collettività. Lo stesso sacrosanto diritto di sciopero finisce inevitabilmente con l’essere svilito, e ridotto dai suoi stessi fautori a una banalissima scampagnata infrasettimanale attraverso cui anticipare di un giorno il weekend. Nulla di più.

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L’uso, portato allo stremo fino a giungere all’abuso, che delegittima il lavoratore e depotenzia lo strumento. La protesta che diviene pretesto, svuotando dall’interno un diritto garantito dalla Costituzione, intaccandone credibilità e prestigio sociale, e favorendo altresì un irrimediabile scollamento tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei cittadini, entrambi comunque danneggiati in nome di qualche interesse più alto: quello del sindacato, sicuramente, e magari, perché no, quello delle aziende datrici di lavoro. Si pensi, ad esempio, al settore dei trasporti pubblici, interessato da più dei due terzi del totale degli scioperi proclamati. Per le imprese del comparto, la protesta rappresenta a tutti gli effetti un’autentica boccata d’ossigeno: abbattimento dei costi del personale, del carburante, di usura dei mezzi, non compensato da una relativa riduzione del prezzo degli abbonamenti.

Morale: il danno connesso allo sciopero si riversa interamente sui viaggiatori, oltre che sugli stessi lavoratori che in nome della lotta sindacale rinunciano volutamente alla loro retribuzione giornaliera. L’ennesimo paradosso a onore e gloria di imprese (in questo specifico caso) e sindacati (in ogni caso), per cui la dura lotta anti-governo, ormai è chiaro, rappresenta nient’altro che una mera attività a scopo di lucro politico a scapito dell’interesse collettivo.

Salvatore Di Bartolo, 27 novembre 2023

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