Politica

Stasera Italia e il flop del superbonus: liberateci dallo Stato Leviatano

Le misure di stampo grillino hanno fatto acqua da tutte le parti. Basta con lo sperpero assistenzialista

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Partenza col turbo, almeno per un incallito liberale come me, di Stasera Italia, in onda su Rete 4, con il debutto di Nicola Porro come conduttore. La questione dei fallimenti a Cinque stelle, con in testa la voragine nei conti pubblici determinata dal Superbonus e dal reddito di cittadinanza, rappresenta, soprattutto nell’imminenza di una legge di Bilancio di estrema difficoltà, un tema ineludibile per aiutare il cosiddetto uomo della strada a farsi una idea sul perché la coperta delle risorse pubbliche risulta drammaticamente corta.

D’altro canto, con un debito pubblico che procede spedito verso la soglia dei 3mila miliardi di euro, aumentando di conseguenza il rischio legato alla sua sostenibilità (ovvero la capacità di pagare i relativi interessi a tempo indeterminato), occorre essere molto chiari su ciò che è stato malauguratamente fatto e ciò che, per l’appunto, non deve essere ripetuto. In pratica si tratta di non continuare sulla linea che l’attuale opposizione giallorossa vorrebbe addirittura incrementare sul piano delle risorse da impiegare. Per dirla con una battuta: smetterla di gettare valanghe di quattrini nello sciacquone. Soldi veramente buttati, visto che si stima che i posti di lavoro “creati” dallo strumento che avrebbe abolito la povertà siano stati poco più di 500, con una spesa totale di 31,5 miliardi di euro.

Ma al di là di ciò, c’è un elemento di natura prettamente liberale che in questi dibattiti non riesce ad emergere con la necessaria nettezza, anche a causa di una sorta di spirito sociale – che per qualcuno rappresenta l’anticamera di un collettivismo mascherato – il quale da lungo tempo sembra essere entrato nella visione di politici e osservatori di qualunque estrazione culturale. Mi riferisco ad alcuni presupposti dello stesso pensiero liberale, secondo cui, al netto da una minimale prerogativa pubblica di impedire ai veri sventurati di morire di fame e di stenti, per aiutare lo sviluppo economico di un Paese, e conseguentemente il benessere dei cittadini, lo Stato dovrebbe concentrarsi nel compito di creare un terreno favorevole alla libera intrapresa dei singoli e dei gruppi organizzati.

Quindi, ad esempio, sì ad investimenti pubblici per migliorare le infrastrutture, agevolando in tal modo la vita delle attività produttive, e un no reciso a chi pensa che lo Stato debba rinverdire i fasti, per così dire, dei famosi piani quinquennali di un glorioso impero defunto da decenni. In particolare, nel corso del citato programma, malgrado la catastrofica esperienza dei famosi navigator, il cui principale obiettivo è stato quello di tenersi il proprio lavoro inventato, è riemersa dalle catacombe dei fallimenti pubblici l’illusoria aspettativa di uno Stato che faccia formazione e che, successivamente, indirizzi i giovani e i meno giovani verso un futuro di stabilità lavorativa.

Dunque, per sintetizzare, anziché uno Stato leggero, che si occupi di garantire il miglior habitat possibile per chi abbia voglia di intraprendere, permane quasi come un dogma religioso il paradigma di uno Stato Leviatano che, ritenendo di occuparsi del nostro bene dalla culla alla tomba, dovrebbe assumersi l’onere di garantire con azioni dirette lo sviluppo dell’economia e la chimerica giustizia sociale, eliminando ovviamente a colpi di tasse quelle che i sinistri definiscono diseguaglianze sociale. Come disse quella specie di anti-italiano ante litteram di Ferdinando Martini: il disegno è stupendo, ma forse è difficile da effettuare.

Claudio Romiti, 5 settembre 2023

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