Sul Russiagate i democratici dovrebbero scusarsi con Trump

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

David Brooks è un commentatore del New York Times di spiccato orientamento conservatore ma solidamente antitrumpiano: quest’ultima caratteristica non gli impedisce però di essere spesso lucido nelle analisi. Così in una “opinion” di martedì 26 nella quale dopo aver riportato tutte le frasi di democratici di peso, “politici” e no (Beto O’Rourke, Adam Schiff, l’ex direttore della Cia John Brennan, il regista Rob Reiner), in previsione dell’uscita del rapporto Mueller, che parlavano di “sovversione delle nostre elezioni”, di “evidente cospirazione e collusione”, di “tradimento” di “il più grande scandalo del secolo”, spiega come per i seguaci dell’Asinello sia venuto il momento di raffreddarsi, di essere umili e onesti nell’autocritica. E i più scatenati dovrebbero persino trovare il modo di scusarsi con Donald Trump. Certo, peraltro, anche i repubblicani dovrebbero riflettere sulla linea scelta per affrontare l’indagine sul cosiddetto Russiagate, sull’aver evocato una “witch hunt” mentre invece si è potuto constatare come bene o male il bilanciamento dei poteri funzionava affermando non la partigianeria bensì il “dominio della legge”.

Il punto – prosegue Brooks – forse è riflettere sugli esiti del caso Nixon, come dopo questo caso si sia sviluppata la convinzione che si possa trovare una scorciatoia giudiziaria che esenti i politici dal duro lavoro della ricerca del consenso sulle proposte invece che sulle denunce penali. Il famoso sito “Politico”, in questo senso, scrive Brooks, ha ricordato come negli ultimi 45 anni si siano indicati da parte dei media ben 46 scandali che sarebbero stati “peggio” del Watergate. Questa cultura scandalistica, prosegue poi l’analisi brooksiana, magari ha portato un po’ più di trasparenza ma al fondo ha aumentato la paranoia degli elettori logorando la fiducia nelle istituzioni democratiche.

I democratici – conclude l’opinionista conservatore del New York Times – hanno vinto alla Camera le elezioni di midterm concentrandosi sui programmi, dovrebbero riflettere su questa impresa e smetterla di affidarsi alle denunce per cercare di battere Trump.

Come dicevo, ecco un’analisi ricca di buon senso, utile in particolare per noi italiani che dotati di un ben più scassato sistema di check and balance di quello americano, stiamo vivendo nel festival dello scandalismo da almeno 27 anni filati. Se invece delle varie Boccassini e Di Pietro avessimo avuto un Robert Mueller, e poi a metà degli anni Duemila se invece di Gianfranco Fini e di Giorgio Napolitano avessimo avuto un tipo come il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell, critico di Trump ma con la schiena dritta, non avremmo logorato così tanto la politica nazionale e sviluppato la nostra subalternità a sistemi di influenza straniera, come invece è avvenuto.

 

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