Trump da Nobel ma l’Ue prova a ricattarlo su Israele

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In un’era dislessica come quella che stiamo vivendo è oggettivamente difficile, e lo è più nel presente di quanto lo sia stato nel passato, capire come vada il mondo. Questo perché ormai, si tratta di una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma in pochi hanno il coraggio di riconoscerlo, la quasi totalità delle politiche nazionali e internazionali vivono in una sorta di scontro, un muro contro muro che non promette nulla di buono e che alla lunga sta preparando una tempesta perfetta. Nei trattati di pace firmati nel passato era importante che una guerra venisse fermata, che le nazioni cominciassero a collaborare e che i popoli, con il tempo, disimparassero l’odio e contestualmente cominciassero a conoscersi. Questo era importante, non chi li firmava quei trattati.

Accordi di pace tra passato e presente

La pace fra Israele e Egitto fu firmata da Anwar al-Sadat e Menachem Wolfovitch Begin, il primo era stato il più acerrimo nemico dello Stato Ebraico mentre il secondo, uomo della destra ebraica, era stato il capo dell’Irgun, il gruppo paramilitare che prima della fondazione dello Stato di Israele era dedito ad attività terroristica antiaraba e antinglese. La pace fra Giordania e Israele fu firmata da Re Hussein e Yitzhak Rabin, il primo era stato il nemico più pericoloso, non a caso l’esercito giordano fu il più difficile da sconfiggere nella guerra dei Sei Giorni, mentre il secondo era uomo della sinistra ebraica e capo di Stato Maggiore dell’Esercito proprio durante quella guerra. Eppure al momento di firmare la pace i nemici si abbracciarono e tutti guardarono al futuro con un filo di speranza in più. Non era importante chi firmava gli accordi, ma che gli accordi fossero firmati.

Oggi invece, in nome di quel muro contro muro di cui parlavo prima, passa il messaggio che possa esistere una pace non buona, una pace che non va bene se a mettere d’accordo dei contendenti è un politico che non va bene, un politico che anche se ha vinto delle elezioni democratiche non deve godere dello stesso rispetto di coloro che lo hanno preceduto. Assurdo nell’assurdo, e vado a memoria, ho visto più nasi storti e critiche agli accordi di pace fra Israele e Emirati Arabi Uniti e Serbia e Kosovo, dove il Deus ex machina è stato il presidente Trump, che non ai bombardamenti, e in otto anni sono stati diversi, ordinati dal suo predecessore: il premio Nobel per la pace in pectore, e mai realizzata, Barak Hussein Obama.

Se non sei della sinistra liberal…

Per molti, anzi per troppi, certi accordi di pace sono più pericolosi di alcuni bombardamenti, e questo dipende da chi c’è dietro agli accordi o ai bombardamenti. Rimane che il presidente Donald Trump è riuscito lì dove in troppi, da Ronald Reagan a George Herbert Walker Bush (il padre), o dall’idolo delle donne Bill Clinton a George Walker Bush (il figlio), per non parlare di Barak Hussein Obama, hanno fallito.

L’accordo di pace fra Gerusalemme e Abu Dhabi, e a seguire quello fra Serbia e Kosovo sono, è inutile girarci intorno, capolavori di ingegneria politica e diplomatica, ma nonostante ciò in molti però hanno di che criticare, perché tutto ciò che non viene dal mondo della sinistra liberal deve essere analizzato in modo da metterne in luce i difetti, anche i più lievi, e poi messo alla berlina con le peggiori disapprovazioni possibili. Gli stessi accordi fatti firmare da un Clinton, un Obama o un Biden, sarebbero stati elogiati e avremmo visto ricchi premi e cotillon, cani e gatti che andavano d’accordo e avremmo avuto tre volte Natale e una festa ogni giorno. Per la verità proprio ieri qualcuno ha avuto il coraggio di candidare il presidente Trump al premio Nobel per la pace, ma non facendo lui parte della giusta ‘parrocchia’ è difficile credere che chi le paci le ha fatte firmare davvero, possa essere premiato: si sa che in questi casi i ‘se’ e i ‘ma’ non mancano mai.

L’Unione europea mostra il suo vero volto

E l’Europa? O meglio l’Unione europea? Come al solito non ha perso occasione per mostrare il suo vero volto ogni volta che tratta dello stato di Israele. Questo perché negli accordi fra Serbia e Kosovo che, va ricordato, è uno stato a maggioranza islamico sunnita, lo Stato ebraico è presente come garante del trattato di pace e si è impegnato a fornire sia a Belgrado che a Pristina tecnologia e collaborazioni in vari campi. La Serbia allora ha deciso di spostare la sua ambasciata a Gerusalemme, mentre il Kosovo, che non ha relazioni diplomatiche con Israele, dopo l’apertura ha deciso di inaugurare la sua ambasciata direttamente nella Città Santa. A quel punto Bruxelles ha ammonito Serbia e Kosovo che la decisione di aprire ambasciate a Gerusalemme può compromettere la loro candidatura di adesione all’Ue perché qualsiasi passo diplomatico che possa mettere in discussione la posizione comune dell’Unione europea su Gerusalemme è motivo di grave preoccupazione. Questo perché secondo Bruxelles tutti gli stati membri dell’Ue devono evitare iniziative che non garbano a chi comanda in Europa.

Difficile dire oggi se la Serbia e il Kosovo si piegheranno al ricatto europeo o, con pragmatismo, saliranno sull’onda statunitense: il tempo saprà dare la sua risposta. Quello che conta oggi è che dal 17 febbraio 2008, giorno della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, la grande Europa dei ‘ricatti’ non era riuscita neanche a far sedere le delegazioni allo stesso tavolo, mentre il presidente Trump non solo li ha fatti parlare, ma ha anche raggiunto un traguardo, scusate traguardi, che in molti, anzi in troppi, credevano impossibili e che ora continuano a criticare.

Michael Sfaradi, 10 settembre 2020

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