Vaccini, gli studiosi individuano 2 rischi

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di Paolo Becchi @pbecchi e Nicola Trevisan @Nic_Trevi

Due recenti studi stanno facendo all’estero parecchio discutere, qui di seguito gli originali e un nostro riassunto con alcune brevi considerazioni conclusive.

Studio 1: PLOS Biology: Imperfect Vaccination Can Enhance the Transmission of Highly Virulent Pathogens

Studio 2: Monitor for COVID-19 vaccine resistance evolution during clinical trials (plos.org)

Studio 1: Il vaccino imperfetto può aumentare le possibilità di trasmissioni di patogeni più aggressivi.

I vaccini che mantengono in vita gli ospiti, ma consentono comunque la trasmissione, potrebbero consentire a ceppi molto virulenti di circolare in una popolazione. I ricercatori hanno dimostrato sperimentalmente che l’immunizzazione dei polli contro il virus della malattia di Marek (MDV), migliora le opportunità per ceppi più virulenti, rendendo possibile la trasmissione di ceppi iper-patogeni. L’immunità creata dalla vaccinazione diretta o con la vaccinazione materna prolunga la sopravvivenza di chi la riceve, ma non previene l’infezione, replicazione o trasmissione virale, prolungando così i periodi infettivi dei ceppi altrimenti troppo letali per persistere. Se il vaccino è sterilizzante la trasmissione viene interrotta e non può verificarsi alcuna evoluzione, ma se non lo è, i patogeni acquisiti naturalmente possono trasmettersi da individui immunizzati e i ceppi virulenti potranno circolare in situazioni in cui invece la selezione naturale li avrebbe rimossi. Pertanto, i vaccini anti-malattia hanno il potenziale di generare un’evoluzione dannosa per il benessere della comunità umana e animale; i vaccini che bloccano l’infezione o la trasmissione non hanno questo potenziale.

I dati ottenuti a conclusione dello studio, documentano che migliorando la sopravvivenza dell’ospite, ma non prevenendo la diffusione del virus, la vaccinazione MDV delle galline o della prole prolunga notevolmente i periodi infettivi di ceppi iper-patogeni, e quindi la quantità di virus che diffondono nell’ambiente. Attenzione! I dati non dimostrano in termini assoluti, che la vaccinazione sia responsabile dell’evoluzione di ceppi iper-patogeni di MDV (e potremmo non sapere mai con certezza perché questi evolvono), ma qualunque cosa fosse responsabile dell’evoluzione di ceppi più virulenti, i risultati degli esperimenti conseguiti sui volatili, mostrano chiaramente che la vaccinazione è sufficiente per mantenere vivi questi ceppi iper-patogeni negli allevamenti di pollame. Mantenendo in vita gli uccelli infetti, la vaccinazione aumenta in modo sostanziale la trasmissione e la diffusione dei ceppi troppo letali per una popolazione non vaccinate, che sarebbero state quindi eliminate per selezione naturale nella situazione pre-vaccino.

In linea di principio, queste due pressioni evolutive (selezione all’interno dell’ospite che favorisce varianti virulente per la loro capacità di eludere l’immunità e l’allentamento indotto dal vaccino della selezione tra ospiti contro la virulenza) insieme potrebbero generare una selezione molto potente per ceppi via via sempre più virulenti. I risultati supportano la prospettiva che una varietà di tecnologie di mitigazione delle malattie abbia il potenziale per guidare l’evoluzione della virulenza, compresi i farmaci che migliorano la malattia o miglioramenti genetici della resistenza dell’ospite.

Se queste tecnologie prolungano i periodi infettivi dei ceppi iper-patogeni, come noi abbiamo dimostrato che anche la vaccinazione può fare, tutti questi fattori potrebbero creare le condizioni che favoriscono l’insorgere di ceppi altamente letali. Se i vaccini “leaky”/imperfetti nell’uomo potrebbero anche creare le condizioni in cui i ceppi più virulenti possono prosperare dipenderà, tra l’altro, da fattori selettivi che attualmente impediscono l’insorgere di ceppi iper-patogeni nelle popolazioni umane.

Studio 2: Occorre monitorare la resistenza al vaccino COVID-19 durante gli studi clinici

Sebbene la resistenza ai vaccini sia meno comune dell’evoluzione della resistenza ai farmaci antimicrobici, anche quella ai vaccini può svilupparsi. Quanto è probabile che i vaccini COVID-19 attualmente in fase di sviluppo, siano compromessi dall’evoluzione virale?

È dalla notte dei tempi che la medicina professa come gli antibiotici assunti in modo eccessivo e scorretto, possono indurre il fenomeno dell’antibiotico-resistenza; perché dunque questo assioma non può essere discusso e analizzato anche per questo tipo di vaccini?

Secondo l’OMS, alla data del 13 Agosto 2021, esistono 110 vaccini COVID-19 attualmente in fase di sviluppo e 184 in fase di valutazione clinica; per tale motivo è necessario uno sforzo aggiuntivo durante gli studi clinici, per raccogliere e pubblicare dati che possano informare sul rischio di evoluzione della resistenza al vaccino da parte del ceppo.

E proprio come la resistenza ai farmaci antimicrobici, la resistenza ai vaccini può evolversi e si evolve. Quando si evolve, la resistenza al vaccino si ottiene attraverso meccanismi come la sostituzione del sierotipo, un cambiamento antigenico, o un aumento della gravità della malattia.

Ad esempio, il vaccino contro il morbillo è stato ampiamente utilizzato per decenni senza che il virus abbia mai sviluppato la capacità di trasmettere attraverso ospiti vaccinati. Allo stesso modo, il vaiolo è stato debellato, in gran parte a causa della vaccinazione che l’evoluzione virale non è riuscita a superare. Al contrario, Streptococcus pneumoniae ha rapidamente manifestato una resistenza al vaccino pneumococcico coniugato (PCV7), rendendo necessario lo sviluppo e diffusione di un nuovo vaccino, PCV13.

Tutti i casi documentati di resistenza ai vaccini possono essere attribuiti all’assenza di almeno una delle tre caratteristiche chiave che la maggior parte dei vaccini possiede:

1. il vaccino induce una risposta immunitaria che protegge gli ospiti prendendo di mira più epitopi virali contemporaneamente, generando così una protezione ridondante ed evolutivamente robusta;

2. il vaccino sopprime la crescita del patogeno all’interno dell’ospite e interrompe la trasmissione da parte dell’ospite protetto da vaccino;

3. la risposta immunitaria indotta dal vaccino protegge contro tutti i sierotipi circolanti.

Quando è presente la caratteristica 1, la resistenza richiederebbe probabilmente la comparsa di mutazioni multiple, al contrario di una sola, sullo stesso background genetico.

Quando è presente la funzione 2, sarebbe generata solo una piccola diversità di patogeni durante la loro crescita all’interno degli ospiti vaccinati, e gli effetti della selezione su eventuali mutazioni di resistenza insorte sarebbero minimi.

Quando la funzione 3 è presente, dovrebbero essere generate nuove varianti del virus prima che la resistenza possa diventare un problema, poiché la resistenza al vaccino non esiste.

Combinate insieme, queste tre caratteristiche rendono la probabilità di emergere della resistenza estremamente piccola.

I vaccini attuali contro la Covid-19 mancano purtroppo sia della caratteristica 1 che della caratteristica 2; inoltre la variante Delta sta mettendo in discussione pure la caratteristica 3, lo prova come in alcuni paesi (Israele e USA) la terza-dose è già stata pianificata e programmata.

È importante che la probabilità di evoluzione della resistenza sia piccola, perché la resistenza ai vaccini può avere un impatto negativo sulla salute pubblica. Se la resistenza ai vaccini dovesse emergere nelle settimane, mesi o anni tra la vaccinazione e l’esposizione, un individuo vaccinato potrebbe essere lasciato non protetto. Se la resistenza diventasse diffusa e comune, intere campagne di vaccinazione potrebbero essere rese inefficaci retroattivamente. Poiché gli anticorpi pre-esistenti interferiscono frequentemente con l’efficacia del vaccino, non possiamo presumere che un nuovo vaccino sarebbe in grado di ripristinare la protezione.

Inoltre, una grande parte dei vaccini candidati alla COVID-19 mirano alla proteina spike del virus o al legame del recettore della proteina spike, e quindi l’evoluzione della resistenza “al vaccino contro un vaccino”, potrebbe contemporaneamente minarne altri; un risultato indicato come resistenza “collaterale” o “incrociata” nel caso di resistenza antimicrobica.

Per evitare di essere colti alla sprovvista dall’evoluzione della resistenza ai vaccini, campioni standard (di sangue e materiale biologico dai tamponi) raccolti duranti i trial clinici, potrebbero essere riproposti per valutare il rischio di evoluzione della resistenza anche prima che il vaccino venga autorizzato; attraverso test di neutralizzazione degli anticorpi e del siero (dal sangue) e per raccogliere dati sul titolo virale come indicatori di trasmissione potenziale (dai tamponi). Se tali prove fossero rilevate durante uno studio clinico, indicherebbe fortemente l’evolversi del potenziale di resistenza.

Nostre conclusioni e riflessioni

Abbiamo riportato sinteticamente i risultati di due studi che chi vuole può leggere integralmente negli allegati riportati all’inizio. Questi articoli sono a nostro avviso importanti perché una campagna vaccinale a livello mondiale come quella in corso, sta comportando l’evoluzione di varianti e potrebbe incidere salute delle popolazioni contribuendo a creare resistenza ai vaccini.

Stiamo percorrendo con la vaccinazione di massa la strada giusta o stiamo cavalcando un’onda emotiva spinta da interessi commerciali e politici? Che cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi e nelle stagioni influenzali? Perché il main-stream, invece di discriminare e puntare il dito contro chi solleva leciti dubbi non accetta una discussione scientifica tra una pluralità di posizioni?

La variante Delta dimostra che è di facile trasmissione anche nelle popolazioni vaccinate, fortunatamente questa variante non sembra essere così aggressiva quanto la Alpha. Ma cosa potrebbe accadere con la prossima mutazione dovuta alla vaccinazione di massa effettuata con vaccini “imperfetti”?

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