Viviamo in un manicomio e non vogliamo uscirne

Lo Stato dovrebbe garantire l’ordine e non la gestione di ferrovie, navigazioni e commercio. E’ un manicomio di burocrazia e inefficienza che fa solo danni

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Ma a volte non vi sembra di vivere in un manicomio? In una sorta di mondo alla rovescia in cui, come diceva Sergio Ricossa, i governi non fanno, ma dovrebbero fare, o fanno, ma non dovrebbero fare. Il gran pasticcio è sempre lo stesso: il governo – che sia di destra o che sia di sinistra non è importante – mette il becco dove non deve e riesce a danneggiare due piccioni con una fava: da una parte i privati e il libero mercato e dall’altra sé stesso e la sua autorità. Risultato: lo Stato, che si arroga il diritto di fornire i servizi che possono essere garantiti e meglio dai privati, ci fa pagare tutto due volte: una volta con le tasse e una volta per poter avere effettivamente il servizio. E’ così con i trasporti, con la scuola, con la sanità, perfino con la giustizia. Ma la cosa grave, triste e paradossale è che più lo Stato pesa e schiaccia – basti l’esempio degli esempi: il debito –  e più è visto dagli stessi Italiani come la soluzione di tutti i mali. Purtroppo, nulla di nuovo sotto il sole. Era già tutto scritto nelle chiare e fresche pagine di Maffeo Pantaleoni.

Correva l’anno 1976 quando Sergio Ricossa pubblicava un’antologia degli scritti di Pantaleoni che oggi la benemerita – un po’ come i carabinieri – Liberilibri di Aldo Canovari rimanda in libreria: Il manicomio del mondo e altre pagine scelte. E tra queste pagine ho scelto fior da fiore: pagina 87 e pagina 179. Nella prima pagina si spiega, appunto, come fare per evitare di continuare a trasformare il mondo in un manicomio. Nel 1920 Pantaleoni fu invitato a Bruxelles – corsi e ricorsi storici ed europei – per presentare un memorandum per il risanamento dell’economia dopo la guerra. La sua risposta fu semplice: i governi devono garantire ordine, contratti e leggi e per il resto far fare a chi sa far meglio degli statali dal momento che ogni volta che un governo s’impiccia di ferrovie, navigazione, porti, commercio, prezzi, lavoro, servizi fa solo danni. Se dal 1920 passiamo al 2019 – 99 anni dopo – la situazione non muta di una virgola: siamo sempre in un manicomio e siamo proprio noi, con i nostri governi che vogliono salvare il mondo, a trasformare il mondo in un manicomio. La soluzione è una sola: “Se i governi cesseranno di ingerirsi di ciò che non li riguarda, in qualunque tempo ciò sia per avvenire, bastano cinque anni perché la situazione economica possa tornare ancora ad essere normale, e se l’ampiezza del loro disinteressamento potesse essere assai vasta, la restaurazione avverrebbe anche in minor tempo”.

Tuttavia, ora come allora, la possibilità che ciò avvenga è molto tenue, perché l’opinione pubblica da una parte e l’abitudine e la potente burocrazia dall’altra – che Weber chiamava “gabbia d’acciaio” – sostengono e praticamente invocano l’intervento del governo. Così Pantaleone aggiunge tre righe che, se si guarda alla storia del Novecento, suonano come una profezia: “La pubblica opinione è largamente favorevole al socialismo ed al paternalismo e soltanto la povertà, la miseria, le calamità, le sofferenze potranno correggerne la fallace tendenza”.

Passiamo a pagina 179. L’ultima pagina. Presa dalla prefazione a Fine provvisoria di un’epoca del 1919. Giusto cent’anni fa. Ma sono cent’anni di solitudine. Qui Pantaleoni si rivolge Agli italiani e come un anti-italiano alla maniera di un grande italiano come Dante li ammonisce e denuncia le debolezze del carattere nazionale. Oggi che il tema degli italiani e degli anti-italiani è ritornato inaspettatamente di moda, sia pure in modo stucchevole, le parole di Pantaleoni sono perfettamente attuali e insieme inattuali. Con queste parole vi saluto: “Di ogni evento sgradito gli italiani cerchino ogni ora una delle cause in loro medesimi. Ve la troveranno pure. E sarà la sola cosa importante. Imperocché soltanto noi stessi, noi possiamo muovere. Non già gli altri. Né le cose bensì noi stessi, in rapporto agli uni e alle altre. Daremo allora l’ascia dove unicamente possiamo darla e dove porta frutto”.

Giancristiano Desiderio, 9 luglio 2019

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