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A che serve oggi questo sindacato?

Ci siamo. Tra due giorni è Primo Maggio, e non occorre essere profeti o veggenti per prevedere la sceneggiatura della giornata: in tarda mattinata, comiziaccio a Bologna dei leader della trimurti Cgil-Cisl-Uil per dire che il governo è cattivo e Salvini cattivissimo, fascista lui e fascistissimo chi lo fiancheggia (e per spiegare, naturalmente, che “ci vuole più Europa”); pomeriggio e sera con il tragico concertone romano di Piazza San Giovanni, con inevitabile gara degli “artisti” a chi lancerà l’insulto con più fortuna “social” contro i razzisti al governo. Tutto scritto: pare di averlo già visto, già sentito.

Eppure – senza asprezze – servirebbe qualche voce a sinistra, qualche testa pensante, qualche persona solitaria e coraggiosa, capace di fare la domanda: ma a che serve oggi questo sindacato?

I dati delle iscrizioni sono impietosi ed eloquenti: siamo a un sindacato essenzialmente di pensionati (iscritti con trattenuta e rinnovo automatico…) o, ad esser buoni, di qualche sempre più limitato segmento di occupati tradizionali. Tutto il resto (cioè ormai il grosso della società italiana), quindi giovani, disoccupati, sottoccupati, stragrande parte dei lavoratori del privato, autonomi, non hanno nulla a che vedere con la triplice sindacale. Vivono una vita diversa: un altro mondo, un altro pianeta, rispetto alle parole del trio Landini-Furlan-Barbagallo.

Inevitabilmente, quindi, la trimurti si butta e la butta in politica, parla d’altro: razzismo, immigrazione, giaculatorie pro Europa (incredibilmente scritte a quattro mani con Confindustria, spesso indistinguibile dalla “controparte” sindacale). Senza uno scatto, senza una novità, senza la capacità di rivolgersi a un pezzo di mondo nuovo, ma rimanendo bloccati nel vecchio, in un residuo – peraltro culturalmente minoritario e perdente – di Novecento.

Sono queste le domande da porre a Cgil, Cisl e Uil. E c’è da dubitare che se le facciano loro stessi, purtroppo.

Daniele Capezzone, 29 aprile 2019

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