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Addio Lorenzo Infantino, un maestro di liberalismo

È morto il professore che occupa un posto centrale nella rinascita del pensiero liberale in Italia

Infantino © STILLFX tramite Canva.com

Lorenzo Infantino era nato nel 1948 e ci ha lasciati così come era abituato a vivere: con discrezione. C’è da invidiarlo perché non ha sofferto lunghe malattie e non ha dato fastidio a nessuno. Ci conoscevamo da quasi cinquant’anni e ci sentivamo regolarmente. Niente, nella telefonata di qualche giorno fa poteva far pensare ad una morte che non era nei suoi programmi. Stava terminando il libro sul totalitarismo e aveva in mente altri progetti per il futuro.

Scomparsi ormai i Maestri, Lorenzo era per me una di quelle poche persone rimaste alle quali far leggere quanto stavo scrivendo (cosa che regolarmente faceva anche lui con me) per averne una valutazione e un giudizio che, anche quando poco condiviso o gradito (e poteva capitare), non restava comunque inascoltato. Era, quindi, e non c’è bisogno di tanti giri di parole, un amico. Un vero amico col quale ogni incontro era un’occasione di festa (anche perché arricchita da benevoli, ma reciproci sfottò, che forse ero tra i pochi da cui venivano tollerati).

La Sua è stata un’intensa vita da studioso: i Suoi autori, che poi erano anche i miei (senza che ciò provocasse invidia), assorbivano i suoi interessi e ne scopriva senza sosta aspetti nuovi sui quali si riversava la sua inesausta attenzione. Pochi giorni fa, l’ultima volta che ci siamo sentiti, era particolarmente contento perché stava per uscire una nuova edizione del suo libro più apprezzato: L’Ordine senza piano. Un’opera sulla tradizione liberale individualistica che gli dette notorietà internazionale e la cui edizione inglese fu recensita da prestigiose riviste.

Aveva iniziato la carriera scientifica già quando lavorava alla Banca d’Italia collaborando, e si tratta di un particolare che non dimenticava mai e di cui andava fiero, col Governatore Paolo Baffi, per passare poi alla LUISS, collaborando con Luciano Pellicani, Dario Antiseri, e dove, fin dai primi anni del nuovo secolo, fu professore ordinario di Epistemologia delle Scienze Sociali. Per quanto non aduso alle pratiche accademiche ed estraneo alle sue vicende, fino al pensionamento quello della LUISS fu il suo mondo. Era fiero degli studenti che seguivano delle sue lezioni e delle discussioni coi suoi colleghi (non con tutti!) parlava sempre con orgoglio. Anche questi, come si mostra nella raccolta di saggi in suo onore: Individuo, libertà e potere. Studi in onore di Lorenzo Infantino, edito nel 2019 da Rubbettino, e che curai con Pietro Reichlin, lo ebbero caro. Ma non cercò, ne lasciò ‘allievi’.

Lorenzo era uno studioso serio, forse anche un po’ burbero, che prendeva sempre sul serio i temi e gli autori di cui si occupava e sui quali aveva scritto pagine che non potranno essere dimenticate. Io gli dicevo che un po’ di ‘leggerezza’ non avrebbe guastato e che in fondo avevamo fatto il nostro lavoro di ‘professori’ (la parola intellettuali, come a me, non gli piaceva!) soprattutto perché ci si divertiva. Ma Lorenzo non approvava e soprattutto mi invitava, invano, a non scherzare sulle cose serie.

In tanti anni di frequentazione non abbiamo mai litigato, ma dissentito più volte e su varie questioni scientifiche. La principale era rappresentata dal mio condividere il giudizio di Carl Menger su Adam Smith che Lorenzo trovava ingiusto ed ingeneroso e riguardo al quale mi invitava ad essere più prudente, anche per non dare spunti ai nemici del Liberalismo. Non so se avesse ragione, ma sicuramente non seguii l’invito. Senza che questo portasse turbamento ai nostri rapporti scientifici e alla nostra personale amicizia. Anche perché, quando il disaccordo rischiava di diventare serio, ci si rifugiava su un tema riguardo al quale tra di noi non esisteva il minimo dissenso: l’influenza negativa esercitata da Benedetto Croce sullo sviluppo del liberalismo italiano. Tanto che Lorenzo amava ripetere, trovandomi pienamente d’accordo, che se Croce e Luigi Einaudi avessero letto l’opera di Ludwig von Mises, Socialismo del 1921 (e della quale nel 2019 Infantino curò l’edizione per Rubbettino), si sarebbero resi conto che la contrapposizione tra “liberalismo e liberismo” era una polemica anacronistica e priva di senso.

Quel che ci accomunava era dunque la ferrea convinzione che senza gli “Austriaci” del Liberalismo si sarebbe oggi parlato come di un innocente residuo di un passato col quale la “mano invisibile” era stata tutto sommato ingiusta ed avara, come quell’ideologia della borghesia alla quale il socialismo marxista aveva inflitto un colpo fatale e definitivo. Sapeva bene, Lorenzo, che se il Liberalismo era riuscito a sopravvivere e a rigenerarsi lo doveva agli Austriaci Eugen von Böhm-Bawerk (si veda La conclusione del sistema marxiano, IBL Libri 2020) e Mises i quali ne staccarono la teoria dell’azione umana dalla teoria del valore degli economisti classici e dei marxisti.

E sapeva altrettanto bene che il loro Liberalismo, nel quale si riconosceva, non aveva niente in comune con l’interventismo dei Liberals e di quello che viene oggi sprezzantemente chiamato “neo-liberalismo” o “neo-liberismo” che sogna di realizzare la libertà tramite un decisivo e marcato intervento dello stato e della politica.

Nella rinascita del Liberalismo in Italia che si manifesta alla fine del secolo scorso Infantino occupa un posto centrale. Se non altro per il fatto che, insieme ad Antiseri, dette vita a quel monumento della cultura liberale che è la “Biblioteca Austriaca” (molti dei cui titoli, grazie al comune e compianto amico Juan Marcos de la Fuente, vennero editi in un’apposita collana della sua Unión Editorial) nella quale, grazie alla lungimiranza di Florindo Rubbettino, e sovente tradotti e curati da uno dei due, sono stati pubblicati gran parte di quei testi “austriaci” che hanno segnato la rinascita del Liberalismo nel mondo occidentale. Non saprei dire se Lorenzo si sia sentito più vicino ed affine a Mises o a Friedrich A. von Hayek. Ma, insieme a Smith, e a qualche sociologo come Georg Simmel, erano i suoi Autori e con essi intesseva un continuo dialogo intellettuale che non aveva una natura di carattere filologico-erudito, ma il fine di illuminare una pacata ma perspicua comprensione del presente e dei suoi problemi.

Lorenzo, infatti – come mostrava anche l’eleganza del suo impeccabile vestire – rifuggiva le mode e chi se ne lasciava incautamente travolgere. Così come dissentiva da quanti speravano di svolgere nel campo della politica lo stesso ruolo che avevano rivestito in quello degli studi. Per questo, e nonostante le occasioni, dalla politica e dai partiti non si lasciò mai tentare e preferì partecipare alla vita politico-culturale dando una mano ad istituzioni culturali, come la Fondazione Luigi Einaudi di Roma. Salvo poi tornare ai suoi studi, ai tanti libri che aveva in casa, quando riteneva che il suo compito fosse giunto al termine.

Dire che mi mancherà è poco. Ma mi consola, parzialmente, sapere che non sarò il solo.

Raimondo Cubeddu, 18 gennaio 2025

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