All’Italia serve uno shock fiscale

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Nella condizione di dissidio permanente in cui l’attuale maggioranza politica si trova, a maggior ragione dopo la chiusura della finestra elettorale, è iniziato il dibattito sulla manovra d’autunno. Ed appare – alle prime battute – una discussione un po’ schizofrenica: per un verso, tutti riconoscono l’utilità di uno shock fiscale, di una frustata positiva per l’economia, di un taglio forte delle tasse; per altro verso, però, dentro e fuori i confini della maggioranza, e ancor più tra gli osservatori della carta stampata, è partito il gioco del “non si può fare”, elencando tutte le ragioni (in qualche caso fondate, va riconosciuto) per cui l’operazione non sarebbe fattibile.

Purtroppo, è la stessa dinamica che ha portato tutte le formule politiche degli ultimi vent’anni (vecchio centrodestra, vecchio centrosinistra, governi tecnici, sinistra renziana) a constatare l’impossibilità di una svolta, e a divenire solo gestori dell’esistente, ad accontentarsi della manutenzione dello status quo, e in ultima analisi ad accettare di operare sugli zero virgola, limitandosi a negoziare anno dopo anno con Bruxelles piccoli margini per qualche bandierina elettorale.

I gialloverdi sono chiamati – da qui al 15 ottobre, quando il primo schema della manovra dovrà essere inviato alla Commissione Ue – a decidere se accodarsi a loro volta a quella linea o se invece tentare qualcosa di diverso.

Nel mio piccolissimo, mi permetto di proporre qui un percorso di ragionamento e un metodo sia ai protagonisti della politica che ai commentatori. Anziché concentrarsi sui fattori che non consentirebbero lo choc fiscale, perché non ragionare su come farlo, sulle diverse modalità che permetterebbero di realizzarlo? Insomma: discutiamo su come farlo, invece che su come e perché non farlo.

Si apra la discussione, dunque.

1° ipotesi: irrobustendo i tagli di spesa, ponendo mano a quella spending review tante volte annunciata ma mai compiuta. Questa prima ipotesi ha a sua volta diverse diramazioni possibili: i 170 miliardi di tax expenditures (alcune intoccabili, altre francamente toccabilissime), i tagli lineari ai ministeri (saranno sgradevoli, ma funzionano), una limatura agli acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione (operazione che tuttavia può ritoccare al ribasso un Pil già sofferente).

2° ipotesi: mettere mano alle misure di spesa esistenti, a partire dai fondi stanziati per il reddito di cittadinanza.

3° ipotesi: un po’ di deficit.

4° ipotesi (la più probabile): un mix delle tre vie appena indicate.

L’importante è avvicinarsi a una massa critica (l’ideale sarebbe almeno pari a circa un punto di Pil, poco sopra o poco sotto: 16-18 miliardi) che renda il beneficio fiscale percettibile, tangibile, consistente. E soprattutto prevedere tagli fiscali anche l’anno e gli anni successivi, facendo capire all’opinione pubblica che la strada delle riduzioni fiscali è tracciata per un arco temporale ampio. Solo questo può indurre a una maggiore fiducia, a una ripresa dei consumi, a un effetto positivo sugli investimenti privati e anche sulle assunzioni da parte delle imprese.

Se invece, come da vent’anni, si sceglierà il piccolissimo cabotaggio, saremo davanti a un’altra occasione persa. E a un esempio di continuità – negativa – con le stagioni passate.

Daniele Capezzone, 28 luglio 2019

 

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