In questa mia breve rassegna stampa eretica vorrei elencare alcuni articoli scientifici, pubblicati negli ultimi mesi, che sollevano dubbi sull’ipotesi – propagandata come certezza scientifica – secondo cui l’anidride carbonica di origine antropica sarebbe la causa di tutti i mali della Terra (sì, mi sono limitato al solo pianeta terracqueo) e sulla convenienza economica della cosiddetta transizione green.
Mi limiterò a inserire nella rassegna i link agli articoli originali, molti dei quali peer-reviewed (la revisione tra pari è un metodo per valutare la validità, la qualità e l’originalità di un lavoro scientifico destinato alla pubblicazione, attraverso il giudizio di uno o più valutatori con competenze simili a quelle dell’autore), accompagnati da una breve sintesi e da qualche commento personale. Penso che possa essere uno strumento utile per chi desideri approfondire questi temi, ascoltando anche pareri eterodossi. Mi sembra corretto chiarire che la selezione è di parte, poiché ha lo scopo di instillare qualche dubbio negli indecisi (per i “gretini” non c’è speranza) e di cercare di riequilibrare, seppur minimamente, l’abbondante informazione mainstream a favore della transizione verde. Anche i ricercatori eroici, che sollevano dubbi scientifici mettendo a rischio la propria carriera, meritano un minimo di visibilità. Colgo l’occasione per ringraziare Jonathan DuHamel, geologo e docente americano in pensione, che mi ha permesso di attingere alla sua rassegna stampa mensile.
Pitfalls in Global Warming and Climate Change Research: Flaws in Ice Core Reconstructions of Atmospheric CO2 – The Naked King of 280 ppm at the Industrial Revolution
Dai Ato
Independent researcher, Osaka, Japan
https://doi.org/10.53234/scc202501/04
I valori misurati di CO₂ nelle carote di ghiaccio e le moderne misurazioni di CO₂ e CH₄ non supportano la narrativa secondo cui le emissioni umane starebbero determinando i cambiamenti nelle concentrazioni atmosferiche di gas serra. I dati sugli aumenti annuali (o diminuzioni) di CO₂, ricavabili dal database NOAA, indicano che prima del 1958 ci sono stati anni in cui la CO₂ è aumentata di 4 o 5 ppm da un anno all’altro, o addirittura diminuita di 3,5 ppm rispetto all’anno precedente. Se queste ricostruzioni sono corrette, allora per molti anni dall’inizio della Rivoluzione Industriale la CO₂ atmosferica è diminuita. Ciò mette in discussione la narrativa antropogenica del riscaldamento globale: non si spiega, ad esempio, come le emissioni umane di CO₂ abbiano causato l’aumento di 4,9 ppm dal 1872 (286,66 ppm) al 1873 (291,56 ppm), o la diminuzione di 3,5 ppm dal 1908 al 1909. I cambiamenti annuali delle emissioni umane non sarebbero stati sufficientemente rilevanti da produrre variazioni così marcate, in entrambe le direzioni. L’anno in cui le emissioni umane hanno superato le 7,8 gigatonnellate (Gt, equivalenti a 1 ppm) è stato il 1913. Prima di allora, un aumento superiore a 1 ppm annuo risulta inspiegabile, anche assumendo che l’incremento di CO₂ rispetto all’era preindustriale fosse di origine antropogenica.
Frans J. Schrijver: The impact of global greening on the natural atmospheric CO₂ level
https://doi.org/10.53234/scc202411/02
L’impatto dell’aumento globale della vegetazione sulla concentrazione atmosferica di CO₂ ha importanti implicazioni per le attuali politiche di mitigazione del cambiamento climatico. A causa dell’influenza relativamente ampia dei fattori naturali, il contributo umano all’aumento di CO₂ è molto più ridotto di quanto attualmente ipotizzato. Infatti, il contributo umano derivante dai combustibili fossili è di circa il 4,3%, pari a 18 ppmv (parti per milione massa/volume). Questo contributo non aumenterà ulteriormente se le emissioni umane rimarranno stabili ai livelli attuali, e persino lo scenario net zero più rigoroso avrebbe un impatto molto limitato.
Extended crop yield meta-analysis data do not support upward SCC revision
McKitrick, R.
Sci Rep 15, 5575 (2025). https://doi.org/10.1038/s41598-025-90254-2
Questa ricerca dimostra che i benefici dell’aumento della concentrazione di CO₂ compensano qualsiasi danno agricolo previsto dal riscaldamento climatico. Purtroppo, l’amministrazione Biden ha incrementato di circa cinque volte la sua stima del costo sociale del carbonio (SCC), basandosi su proiezioni del declino del rendimento globale delle colture, calcolate su un set di dati pubblicato per la prima volta nel 2014. Questo set conteneva 1722 record, di cui la metà non contemplava almeno una variabile (spesso la variazione di CO₂), lasciando solo 862 record disponibili per la modellazione multivariata di regressione (una tecnica statistica che analizza la relazione tra più variabili indipendenti e una o più variabili dipendenti, utile per modellare sistemi complessi). L’autore, riesaminando le fonti, è riuscito a recuperare 360 record, portando il campione a 1222. L’analisi sul set di dati più completo produce risultati molto diversi: mentre il set originale indicava un calo dei rendimenti per tutti i tipi di colture, anche a bassi livelli di riscaldamento, il set completo mostra che i cambiamenti nella resa media globale sono nulli o addirittura positivi fino a un riscaldamento di 5 °C (la ricerca conferma, tra l’altro, l’aumento delle produzioni agricole a livello mondiale, n.d.r.).
Radiation Transport in Clouds
W. A. van Wijngaarden¹ e W. Happer²
¹Department of Physics and Astronomy, York University, Toronto, ON, Canada
²Department of Physics, Princeton University, USA
https://doi.org/10.53234/scc202501/02
In questo bellissimo articolo scientifico (sì, l’aggettivo non è molto scientifico, ma concedetemelo) gli scienziati dimostrano il ruolo dominante delle nuvole sul clima terrestre. I primi studi osservativi sul trasferimento di calore nell’atmosfera, come quelli di John Leslie intorno al 1800, hanno evidenziato che le nuvole hanno un grande effetto sul trasferimento di calore radiante dalla superficie terrestre allo spazio. Anche i gas serra influenzano questo processo, ma in misura molto minore rispetto alle nuvole. Ad esempio, un raddoppio istantaneo della concentrazione di CO₂ (un aumento del 100%) ridurrebbe la radiazione termica emessa nello spazio solo di circa l’1%; al contrario, per aumentare il riscaldamento solare della Terra di qualche punto percentuale, basterebbe una lieve diminuzione della copertura nuvolosa a bassa quota. La prima parte dell’articolo esamina i dati osservativi sull’influenza delle nuvole sul trasferimento di calore; la seconda offre un breve riassunto di una nuova teoria sul trasferimento delle radiazioni, analizzando quantitativamente come le nuvole disperdono le radiazioni esterne e come emettono radiazioni termiche generate dalle loro particelle.
When Are Models Useful? Revisiting the Quantification of Reality Checks
Demetris Koutsoyiannis
Department of Water Resources and Environmental Engineering, School of Civil Engineering, National Technical University of Athens, 15772 Zographou, Greece
Water 2025, 17(2), 264; https://doi.org/10.3390/w17020264
Questo nuovo studio di un importante studioso del clima dimostra che i modelli climatici attuali non concordano con le osservazioni reali, rendendone dubbia l’utilità. L’autore evidenzia che i più avanzati modelli di circolazione generale (GCM) non riescono a simulare le tendenze e le variazioni delle precipitazioni globali negli ultimi 84 anni (1940-2023), suggerendo una riconsiderazione della loro validità. I processi idrologici – come la circolazione oceanica, il vapore acqueo e le nuvole – sono componenti chiave del clima e oscurano facilmente l’impatto delle emissioni antropogeniche di CO₂ di un fattore 2100 (Koutsoyiannis, 2021). La variabilità della copertura nuvolosa ha un effetto così incerto sulla temperatura superficiale, e le nostre capacità di misurarne l’impatto sono così limitate, che persino la NASA ha ammesso che “i modelli attuali devono essere migliorati di circa cento volte in precisione” per poter attribuire i cambiamenti di temperatura attuali o futuri all’aumento della CO₂ atmosferica.
Levelized Full System Costs of Electricity
Robert Idel
Rice University’s Baker Institute for Public Policy, 6100 Main Street MS-40, Houston, 77005, TX, United States
Energy, Volume 259, 15 November 2022, 124905; https://doi.org/10.1016/j.energy.2022.124905
I sostenitori delle energie rinnovabili spesso affermano che eolico e solare sono fonti meno costose rispetto a carbone, gas naturale ed energia nucleare. Ma questo solleva un interrogativo: perché gran parte del mondo continua a costruire centrali a carbone se queste producono energia più costosa? La risposta è semplice: l’energia da eolico e solare è più costosa (elementare, Watson!) [1 -11]. Questa recente analisi peer-reviewed lo dimostra. Dei costi livellati dell’energia abbiamo già parlato approfonditamente su questo sito [1]; quindi, non mi dilungo sulla loro definizione. Lo studio riporta il costo livellato della produzione di elettricità considerando l’intero sistema. Il termine “sistema completo” è cruciale: le valutazioni dei costi finora utilizzate non tengono conto dell’intermittenza dell’energia fornita da eolico e solare e di come questa aggiunga costi sostanziali all’intera rete elettrica.
Inoltre, non considerano che le centrali eoliche e solari non possono essere costruite dove servirebbero, richiedendo spesso nuove linee di trasmissione lunghe, costose e inefficienti per trasportare l’energia dai punti di generazione agli utenti, con ulteriori costi rilevanti. La ricerca dimostra che, includendo tutte le voci di costo – come già riportato più volte su questo sito – prendendo ad esempio una regione favorevole come il Texas, l’energia solare costa 413 dollari per megawattora (MWh), l’energia eolica 299 dollari per MWh, l’energia nucleare 122 dollari, il carbone 90 dollari e il gas naturale solo 40 dollari. Si tratta di un enorme differenziale di prezzo tra eolico e solare rispetto alle altre fonti. In merito a questa ricerca scientifica, mi permetto di aggiungere che nel computo dei costi non sono stati presi in considerazione quelli causati dalle devastazioni ambientale e paesaggistiche (mi rendo conto che siano costi difficilmente quantificabili, ma sono innegabili).
Purtroppo, a forza di ripetere falsità si rischia di screditare anche ciò che di buono c’è nel solare (sull’eolico stendo un velo pietoso). Ci raccontano in continuazione che eolico e solare ridurranno miracolosamente le bollette e ci libereranno dalla dipendenza dagli idrocarburi (spostandola verso la Cina), le cui riserve potrebbero garantirci energia a basso costo per almeno un secolo, in attesa di soluzioni altrettanto economiche. Il rischio è che, constatando ogni giorno che la percentuale di energia “green” cresce insieme al costo delle bollette, la gente scopra… la grande bugia verde [12].
Carlo MacKay, 4 marzo 2025
[1] https://www.nicolaporro.it/no-non-e-vero-che-lenergia-green-conviene/
[2] https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-economia/scandalo-incentivi-alle-rinnovabili-quanto-ci-costano-e-perche-e-ora-di-abolirli/
[3] https://www.nicolaporro.it/come-distruggere-il-mito-del-sole-e-del-vento-a-buon-mercato/
[4] https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-economia/ecco-unaltra-sola-green-il-treno-a-idrogeno-ideologia-contro-efficienza/
[5] https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-economia/caro-bollette-un-salasso-auto-inflitto-a-colpi-di-follie-green/
[6] https://www.nicolaporro.it/stangata-rinnovabili-il-piano-green-finanziato-con-aumenti-in-bolletta/
[7] https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-economia/leuropa-scopre-il-conto-delle-politiche-green-ma-possono-farci-ancora-piu-male/
[8] https://www.nicolaporro.it/come-abbassare-la-bolletta-ha-senso-puntare-alla-fusione-nucleare/
[9] https://www.nicolaporro.it/rischio-bancarotta-perche-le-industrie-di-pannelli-solari-sono-nel-panico/
[10] https://www.nicolaporro.it/i-dati-smontano-la-favola-in-germania-la-transizione-green-non-funziona/
[11] https://www.nicolaporro.it/il-grande-flop-delleolico-offshore/
[12] Nicola Porro, La grande bugia verde, Liberilibri, Macerata (2024) ISBN 979-12-80447-44-9
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