L’Occidente sedotto dal modello cinese rischia una fine orwelliana

Lo strano caso della folgorazione di tanti scienziati e politici occidentali sulla via di Pechino. Al massimo, un modello negativo da cui discostarsi

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Bisogna fare come la Cina, tamponare 60 milioni di italiani e isolare gli infetti”. A parlare era Walter Ricciardi, il consulente dell’allora ministro della salute Roberto Speranza, che ha scandito tutte le fasi del periodo pandemico con le sue proposte tremendiste. Ora, al di là dei risultati fallimentari della strategia Covid-zero, a cui si è dovuto arrendere pure il governo cinese, resta ancora un mistero (poco) gaudioso questa folgorazione di tanti scienziati e politici occidentali sulla via di Pechino.

Infatti, non solo l’approccio a dir poco tirannico non ha piegato il virus, che si è fatto beffe di tutto l’armamentario liberticida, ma ha mostrato pure come il tentativo di testare tutta la popolazione a ripetizione fosse del tutto utopistico, oltre che insensato. La dichiarazione di Ricciardi risale al gennaio del 2022 quando la brutalità delle politiche del regime comunista erano già state poste all’attenzione del mondo.

Così come erano già noti all’opinione pubblica internazionale i metodi più che autoritari, la pervicacia con cui venivano confinate intere città, l’insistenza nel vessare la popolazione composta da presunti positivi da segregare fino a tampone contrario, l’opprimente controllo sociale e la repressione di qualsiasi contestazione.

In più, stava emergendo anche la questione non secondaria dell’origine del virus probabilmente sfuggito dal laboratorio di Wuhan. Proprio la scorsa settimana su Atlantico Quotidiano, abbiamo dato conto delle audaci rivelazioni del Sunday Times.

Xi oltre Orwell

Ora, al quadro già fosco, si sono aggiunte le dichiarazioni – riportate sul Corriere della Sera – del dissidente cinese Liao Yiwu, rifugiato in Germania nel 2011 e premiato a Caorle con il premio Luigi Amicone, dedicato al fondatore ed ex direttore della rivista Tempi. Il premio viene conferito a coloro che si sono contraddistinti per aver avuto “il coraggio di chiamare le cose con il loro nome”. Liao si è occupato anche della pandemia, pubblicando un romanzo documentario dal titolo evocativo “Wuhan” , in cui non ha risparmiato aspre critiche al governo del suo Paese.

Per Pechino il virus è stata l’occasione di mettere in pratica la più imponente, onnipervasiva e tecnologicamente avanzata forma di controllo su ogni aspetto della vita della popolazione. Xi ha superato la fantasia di George Orwell in “1984”.

Inoltre, Liao ha accusato le autorità cinesi di non aver saputo circoscrivere la diffusione del virus, permettendo la sua trasmissione nel resto del mondo con tutte le conseguenze catastrofiche che ben conosciamo.

Modello negativo

Questa ulteriore accusa si collega anche alla questione dell’origine dei primi focolai su cui la Cina è stata reticente fin dal principio, evitando di fornire le informazioni necessarie che avrebbero consentito una risposta coordinata e adeguata all’emergenza sanitaria.

Il tutto si ricollega inevitabilmente all’assenza di democrazia in Cina che ha permesso al governo di non diffondere notizie imbarazzanti per il regime, tipo quelle relative all’insorgenza del Covid. Magari, sarebbe stato utile sapere – come riportato dal Wall Street Journal – che i primi infettati furono tre ricercatori in servizio presso il laboratorio di Wuhan. Averlo omesso ha sicuramente disorientato i responsabili delle politiche sanitarie degli altri Paesi colpiti all’improvviso dal virus.

Per questi motivi, la Cina doveva fungere come esempio da non seguire. Al massimo, come modello negativo da cui discostarsi, per comportarsi in maniera diametralmente opposta.

Invece, non solo sono state aperte le porte al Covid ma il virus illiberale si è insinuato nelle nostre democrazie intaccando incredibilmente diritti fondamentali, anestetizzando il dibattito pubblico, uniformando l’informazione ai dogmi sanitari, censurando le opinioni contrarie. Quasi come a Pechino.

I cinesi non sono più uomini, ma macchine, hanno meno diritti di un cane perché lui può abbaiare, mentre se loro urlano finiscono in cella”, ha denunciato Liao. Tanto è vero che i medici che per primi isolarono il virus furono messi a tacere sotto la minaccia del licenziamento o, peggio ancora, del carcere.

Mentre la cella è stata la destinazione di una cinquantina di giornalisti che avevano provato a raccontare come la Cina stava gestendo male le fasi inziali dell’epidemia. Tra questi la blogger Zhang Zhan, imprigionata con l’accusa di aver creato problemi di ordine pubblico e condannata a 4 anni di reclusione. La sua colpa è stata quella di aver raccontato attraverso i social media quello che stava realmente accadendo agli inizi del 2020 all’ombra del Dragone.

Per cui, l’imitazione del “modello” sanitario cinese resta una macchia sulla reputazione dei Paesi che sono stati sedotti dalle sirene dispotiche del governo cinese imponendo misure impensabili in una società liberale. Liao ha, perciò, auspicato una minore dipendenza del mondo occidentale da Pechino.

Via dalla Via della Seta

Peraltro, in settimana, il segretario di Stato americano Anthony Blinken si è recato in missione diplomatica in Cina per discutere, tra l’altro, dell’affaire Taiwan. Tutti i buoni propositi di partenza sono stati stroncati da una successiva dichiarazione del presidente americano Joe Biden che ha definito Xi Jinping un dittatore, provocando la reazione piccata sia di Pechino che di Mosca.

Non va neppure dimenticato che il presidente cinese fu accolto in Italia con tutti gli onori nel marzo 2019 (solo un anno prima dello scoppio dell’epidemia) quando venne firmato un Memorandum d’intesa sul progetto denominato “Nuova via della seta”. Era l’epoca del Conte I e del governo sostenuto dalla maggioranza giallo-verde. Quell’accordo teso a riscrivere un nuovo ordine mondiale con egemonia cinese avrebbe spinto l’Italia fuori dal perimetro atlantista.

Gli eventi successivi hanno riequilibrato le cose e il governo Meloni sembra più che deciso a non rinnovare l’intesa in scadenza nel 2024. Tra l’altro, in riferimento a quest’accordo di quattro anni fa, Liao ha parlato dell’inaffidabilità di Xi Jinping che non terrebbe fede ai patti sottoscritti. “Sembrava che volesse fare chissà quali investimenti in Italia, ma appena è scoppiata la pandemia ha fatto dietrofront”. Forse, davvero non tutti i mali vengono per nuocere.

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