Denatalità e green, la transizione di Musk alternativa all’autoritarismo climatico

La sua visione è antitetica a quella delle élites oggi dominanti in Occidente, che fanno leva sul terrorismo climatico per imporre un’agenda di controllo sociale

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Ci sono almeno un paio di temi affrontati ieri durante la bella intervista di Nicola Porro che confermano come Elon Musk sia un personaggio non banalmente etichettabile dal punto di vista politico-ideologico, ma anche come senza alcun dubbio la sua visione si discosti radicalmente da quella delle élites oggi dominanti in Occidente.

Fate figli!

E si tratta di due temi ciascuno a suo modo decisivo per il futuro della civiltà occidentale: la denatalità e il cambiamento climatico. Riguardo la prima, l’approccio della maggior parte dei governi è non fare nulla, voltarsi dall’altra parte, lasciare che siano i flussi migratori a riequilibrare il deficit demografico.

Per Musk il tasso di natalità troppo basso è invece un “grande problema”. “Se non invertiamo la rotta, l’Italia scomparirà. Dovete fare figli!

Ma saranno gli immigrati a non far scomparire l’Italia e gli altri Paesi occidentali, gli immigrati “ci pagheranno le pensioni”. Ed è qui che la risposta di Musk è per molti spiazzante:

Non penso che l’immigrazione possa risolvere i problemi del mondo solo perché qualcuno fa figli. Francamente penso che si tratti più di una questione morale. Nel senso, è giusto chiedere ai figli di qualcun altro di prendersi cura di te quando sarai vecchio? Perché questo è quello che effettivamente dicono quelli che scelgono di non avere figli: “Qualcuno si prenderà cura di me”. Questo non è giusto per me. Non è corretto. La domanda è di natura logica, prendendo in considerazione l’intera portata della consapevolezza. Tutti noi abbiamo un po’ di consapevolezza nella nostra testa e, insieme, abbiamo anche una consapevolezza collettiva. Dal momento che la popolazione diminuisce, si riduce anche questa consapevolezza collettiva e riduciamo la nostra capacità di comprendere la natura dell’universo. (…) Attualmente la civiltà sta morendo agonizzante nei pannoloni per anziani. Un finale desolante. Quindi abbiamo bisogno di procreare.

Musk sembra affrontare la questione non da un punto di vista economico, ma direi innanzitutto etico-morale. C’è nelle sue parole l’evocazione di una idea di famiglia, una concezione della società umana che ormai nel dibattito pubblico a stento viene rappresentata, nel timore di essere bollati come bigotti e reazionari, ma che è quella che ha accompagnato l’evoluzione della nostra specie per millenni.

Ci siamo spinti troppo oltre

Il fondatore di Tesla è come noto fortemente impegnato a favore di “un’economia energetica sostenibile per il futuro” (solare, eolico ed altre fonti) e a rendere il trasporto totalmente elettrico.

Sebbene chi segue Atlantico Quotidiano conosca il nostro scetticismo sul totale abbandono delle fonti fossili, ciò che qui ci preme sottolineare è che pur avendo, come molti, tutto l’interesse (enormi interessi) ad unirsi al coro dei catastrofisti e dei terroristi climatici, il messaggio di Musk è al contrario di grande fiducia e tranquillità. Si può dire sia di segno opposto rispetto agli esaltati di gruppi come Ultima Generazione, ma anche rispetto all’establishment Ue e Usa.

Il cambiamento climatico lo preoccupa? “No”, risponde. È qualcosa che dobbiamo affrontare ma “nel lungo periodo”. Anche qui, Musk ragiona in termini non di “generazione”, ma di genere umano e ritiene che “la discussione sul cambiamento climatico si sia spinta troppo oltre – e lo dico da persona molto attenta al clima”.

Nel lungo termine affrontiamo le nostre sfide. Perché vogliamo andare avanti verso un’economia energetica sostenibile. Ma non credo che dobbiamo farlo a costo della vita delle persone, a costo del loro stile di vita. Penso sia possibile condurre uno stile di vita buono ma anche passare ad un’economia sostenibile. Non dobbiamo distruggere lo stile di vita degli agricoltori o rendere la gente infelice, cose di questo genere. Possiamo assolutamente pensare ad un futuro energetico sostenibile senza essere infelici. (…) Vogliamo davvero muoverci nella direzione dell’energia sostenibile. Vogliamo propendere per l’energia sostenibile. Ma non per questo dobbiamo distruggere lo stile di vita delle persone o diventare infelici”.

Fine dell’auto

E invece quello che vediamo in Europa è proprio la deliberata distruzione dello stile di vita delle persone. Ma, si badi bene, non come effetto collaterale delle politiche climatiche, ma come obiettivo programmato.

Sono in atto attacchi su molteplici fronti – la casa, le stufe a gas, gli allevamenti e il consumo di carne, la pesca – ma le restrizioni più pervasive sono senza dubbio quelle che colpiscono i mezzi di trasporto privati.

Su Atlantico Quotidiano stiamo lanciando già da qualche tempo l’allarme, ma finora inascoltati: guardate che il punto di caduta delle attuali politiche, per esempio, sul settore auto – il bando di benzina e diesel, l’estensione delle Ztl e progetti quali la città da 15 minuti – non è la transizione all’elettrico, ma la fine dell’auto come mezzo di trasporto privato di massa e la drastica riduzione della mobilità in generale.

Non è che dovremo passare tutti all’auto elettrica (cosa ad oggi impossibile per i costi e insostenibile per la rete energetica), dovremo proprio abbandonare l’uso dell’auto e ridurre drasticamente la nostra mobilità personale, sia all’interno delle nostre città che oltre i confini nazionali.

In poche parole, possedere un’auto diventerà un lusso riservato a pochi. E avremo delle quote di emissioni personali che non ci permetteranno di muoverci oltre un certo limite. Perché la sentenza è che, carburanti o elettrico, il trasporto di massa sia di per sé insostenibile per la “salute” del pianeta (ma di questa salute parleremo più avanti).

L’agenda del WEF

Non è una nostra suggestione, o peggio del complottismo. È un programma vero e proprio, delineato in un libro bianco pubblicato di recente dal World Economic Forum, dal titolo “Benchmarking the Transition to Sustainable Urban Mobility”, in cui si indica l’obiettivo di ridurre del 75 per cento la proprietà individuale dell’auto entro il 2050. Il che significa che su oltre 2 miliardi di proprietari di auto, 1,5 miliardi dovrebbero perdere l’opzione del trasporto personale, lasciando a 500 milioni di persone in tutto il mondo il “privilegio” di possedere un veicolo.

L’auto privata non sarà vietata, ma semplicemente resa inaccessibile alla maggior parte delle persone comuni, per le quali a causa delle tasse sulle emissioni e della inevitabile inflazione dei prezzi saranno insostenibili sia l’acquisto che la manutenzione di veicoli, elettrici e non.

Il progetto del WEF definisce inoltre varie linee guida per spostare la maggior parte della popolazione mondiale all’interno di “città intelligenti” compatte. Il 70 per cento di tutte le persone dovrà vivere in queste “città intelligenti” entro il 2050 e le città di “secondo e terzo livello” dovranno essere accorpate in singole reti omogenee. In altre parole, megalopoli.

Si tratta di stravolgere la vita di miliardi di essere umani in pochi decenni. Ci riusciranno? Forse sì, forse no, ma questo è il piano scritto per noi ed è bene che le nostre autorità politiche nazionali aprano gli occhi.

La leva del terrorismo climatico

Con il pretesto del cambiamento climatico, quindi, un preciso progetto di ingegneria sociale su scala globale che prevede profondi cambiamenti, socio-economici e politici, il cui esito finale è una notevolissima compressione delle nostre libertà e della nostra autonomia personale.

Prima la paura del virus come leva, ora sempre più la paura degli effetti del cambiamento climatico. Come il terrorismo pandemico, anche il terrorismo climatico gioca un ruolo fondamentale nel farci accettare la limitazione delle nostre libertà e la distruzione del nostro stile di vita.

Non a caso la narrazione climatista più aggressiva e le politiche climatiche più stringenti sono focalizzate sull’Occidente, nonostante gli Stati Uniti rappresentino il 14 per cento delle emissioni globali di Co2 e l’Ue solo l’8 per cento, e non sulla Cina, che da sola rappresenta circa il 32 per cento. La popolazione cinese è già sotto controllo e sottomessa, grazie ai progetti più avanzati di “città intelligenti” e le reti di sorveglianza più sofisticate al mondo.

Tutto questo, spacciato per una necessità dettata dal cambiamento climatico, è, nella sua essenza, un programma di controllo sociale su scala globale, nella convinzione che l’umanità non possa che essere governata con modelli “cinesi”.

La visione pro-umana di Musk

La transizione di Elon Musk, che si dice non preoccupato per il clima, parla di “lungo periodo”, di un dibattito “spinto troppo oltre”, di “non distruggere lo stile di vita delle persone”, si discosta totalmente da questa agenda, per la cui esecuzione sono invece essenziali il terrorismo climatico e un orizzonte temporale relativamente ristretto.

Ma la sua è anche una visione pro-umana, a favore cioè dello sviluppo della specie umana, al contrario dell’ideologia sostanzialmente anti-umana e anti-sviluppista dei sinceri catastrofisti climatici, la cui massima aspirazione sarebbe quella di eliminare ogni “impronta” dell’uomo sul pianeta.

Come spiega Alex Epstein nelle sue opere, a fondamento di questa ideologia c’è il mito del pianeta perfetto e l’assunto, consequenziale, che l’essere umano stia avendo un impatto negativo sul pianeta. Si viene così ad instaurare implicitamente una falsa dicotomia tra l’impatto negativo dell’uomo, da eliminare e scongiurare ad ogni costo, e un’idea astratta di “pianeta perfetto” come pietra angolare di ogni decisione. E quella che si viene a determinare è una politica contraria allo sviluppo della società umana.

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