Governo allo sbando atto terzo: il problema è a Palazzo Chigi. E il Quirinale potrebbe risolverlo in 12/24 ore

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Un decreto che, in pratica, esorta i cittadini a evitare spostamenti non necessari è stato comunicato come un lockdown da film catastrofico, generando un’ondata verso il centro-sud che rischia di propagare il contagio

Abbiamo assistito sabato notte all’ennesima prova indecente nella gestione dell’emergenza coronavirus da parte del governo. Dopo il tira e molla durato ore, mercoledì scorso, sulla chiusura di scuole e università, un’altra misura senza precedenti nella storia della Repubblica è stata gestita e comunicata in modo disastroso, come spiega magistralmente Martino Loiacono oggi su Atlantico. Si è lasciato che la comunicazione su una decisione di estrema gravità e delicatezza fosse di fatto delegata alla stampa e al tam tam sui social media: una bozza di decreto ancora all’esame del governo pubblicata da qualche testata (Corriere e Repubblica) e poi, per circa sei ore, un susseguirsi di interpretazioni e speculazioni, senza annunci e parole ufficiali, senza avvertire la necessità di correre a tappare la falla. Solo a tarda notte il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è degnato di scendere in sala stampa per presentare e spiegare il decreto (e, come sua abitudine, ricorrendo allo scaricabarile per giustificare il leak). Decreto poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo alle 13 di domenica.

Chiariamo subito che non siamo (ancora) in Cina, dove una notizia non si può dare a meno che non sia il governo ad autorizzarti. Che sia stata governativa la manina che ha passato la bozza, o che sia filtrata dalle regioni, poco avrebbe cambiato: era il governo il soggetto responsabile, e maggiormente interessato, a prendere tutte le precauzioni affinché non accadesse. In ogni caso, i presidenti delle Regioni Piemonte, Lombardia e Veneto hanno tutti dichiarato di aver ricevuto in via ufficiale la bozza solo dopo che era già stata pubblicata online. Recapitata alle 20.50, con la richiesta di far pervenire i loro pareri entro le 22, ha precisato il presidente Cirio. Sia il Corriere che Repubblica a quell’ora l’avevano già pubblicata sui loro siti e rilanciato la notizia dai loro profili Twitter. Addirittura, secondo alcuni la bozza sarebbe arrivata tramite Whatsapp ad alcune redazioni e giornalisti addirittura alle 14 di sabato.

È circolata ieri, per attribuire la colpa del leak alla Regione Lombardia, governatore leghista, la schermata di un articolo di Cnn news in cui della bozza si dice “also sent to Cnn by the press office of the Lombardy regional authority” (ufficio stampa che ieri mattina ha smentito), ma anche “according to a close adviser to one of the ministers attending a Cabinet meeting”. Ma l’articolo della Cnn è stato pubblicato all’1.28 di notte ora italiana, dopo oltre 5 ore che la bozza era già online. A chiarire definitivamente com’è andata la stessa Cnn:

“I nostri corrispondenti hanno prestato molta attenzione a verificare che la bozza di documento che circolava su altri media fosse autentica, chiedendo conferma a Regione Lombardia e altri contatti”.

La Regione Lombardia non ha spifferato nulla, la bozza è molto probabilmente uscita da Palazzo Chigi e il presidente del Consiglio ha ancora una volta provato a scaricare responsabilità solo sue su altri: è toccato a molti, medici, regioni e ora anche giornalisti. Un’arroganza senza precedenti, una condotta irresponsabile, che alimenta diffidenza e rancore tra istituzioni proprio quando dovrebbero remare nella stessa direzione, e in evidente spregio per l’appello del capo dello Stato.

Il danno è stato enorme, perché non si trattava di un vero e proprio lockdown, di una chiusura, cioè di un divieto assoluto di uscire dalla “zona rossa”, come nella Bassa lodigiana due settimane fa – che tra l’altro per attuarlo e farlo rispettare su un territorio così esteso e una popolazione così numerosa avrebbe richiesto un dispiegamento di forze militari e di polizia probabilmente al di là delle attuali capacità. Il problema è che così, come chiusura, lockdown, è stato rilanciato dai media italiani e internazionali in assenza di una comunicazione istituzionale, e così percepito dai cittadini.

Si trattava invece, in pratica, di una forte esortazione ad “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita”, salvo “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità”. La polizia potrà fermare i cittadini e chiedere loro perché si stiano spostando, ma se si fosse spiegato subito che comunque, in qualunque momento, resta possibile se necessario per lavoro o esigenze famigliari, salire su un treno o un aereo, centinaia di persone sabato sera e ieri mattina non si sarebbero riversate nelle stazioni per uscire da Milano e dalle zone interessate, con il rischio di portare con sé il virus e diffonderlo in altre regioni dove il contagio è ancora scarsamente diffuso.

Subito è partita la colpevolizzazione di chi è “fuggito” e di chi ancora oggi affolla locali e se ne frega delle “raccomandazioni”, ma chiediamoci anche che comunicazione c’è stata da parte delle istituzioni, sia centrali che regionali. Certamente non univoca, a voler usare un eufemismo. Direi piuttosto sconsiderata e irresponsabile. Ad oggi governo, presidenti di regione e sindaci non sono ancora riusciti a far passare il concetto che non si tratta di un’influenza poco più aggressiva di quella stagionale. Fino a pochi giorni fa la narrazione istituzionale prevalente verteva sul non fermarsi, su come ripartire, con tanto di spot, appelli tv e campagne social.

Vi ricordate quando si scandalizzavano e gridavano al fascioleghismo per la proposta di mettere in quarantena chiunque tornasse dalla Cina? Oggi che molte regioni del centro-sud dispongono quarantene per chi torna dal nord sembra tutto normale. Sembra passato un secolo, ma era solo un mese fa. È un “8 settembre” e sono sempre gli stessi voltagabbana: fascisti il 7, partigiani comunisti il 9. Quelli che pochi giorni fa twittavano #Milanononsiferma, che irridevano il popolino ignorante – razzista e fascioleghista – che si faceva prendere da un panico ingiustificato, sono gli stessi che oggi #iorestoacasa e signora mia che gente incivile ed egoista che se ne va in giro a farsi l’aperitivo (quello che fino a ieri andavano farsi Sala e Zingaretti).

Come abbiamo già osservato nei giorni scorsi qui su Atlantico, il governo è allo sbando e i continui disastri nella gestione e nella comunicazione delle sue decisioni, la confusione nei rapporti con le Regioni (prima impugna la chiusura delle scuole nelle Marche e due giorni dopo le chiude in tutta Italia), ne sono la prova.

Siamo tutti consapevoli che nel pieno di un’emergenza il buon senso consiglierebbe di non cambiare governo, suggerirebbe di ridurre al minimo la conflittualità politica e restare uniti, sulla base della banale considerazione che nella tempesta è meglio avere qualcuno saldo al comando, pur mettendo nel conto qualche errore, che il caos decisionale. Ma se questo qualcuno si dimostra a tal punto incapace da piombare nel caos più totale, oltre a commettere gravi errori?

Il problema è a Palazzo Chigi, ma se volesse il Quirinale potrebbe risolverlo in 12/24 ore, senza alcun vuoto di potere emergenziale. E invece dal Colle più alto si assiste con probabile irritazione ai passi falsi dell’Esecutivo giallo-rosso, ma anche con imbarazzo, perché è pur sempre una sua creatura. Alla coppia Conte-Casalino il presidente Mattarella sembra voler (o dover) perdonare tutto, sulla pelle degli italiani.

Vediamo oggi quanto infelice fu la scelta di dar vita a un governo purchessia, raffazzonato, in conclamato contrasto con l’orientamento dell’elettorato, guidato da personaggi mediocri, con l’unico scopo – persino rivendicato – di sbarrare la strada verso Palazzo Chigi all’avversario politico. D’altronde, non bisogna dimenticarlo: è già questo il “governo del presidente” spesso invocato. È il presidente infatti ad averlo fortemente voluto, ad essersi da subito adoperato, sebbene nell’ombra, per creare le condizioni perché nascesse. Scaricarlo ora vorrebbe dire sconfessare se stesso, riconoscere l’errore e dare ragione a Salvini e Meloni.

Ma fino a che punto le opposizioni dovrebbero mostrarsi “responsabili” in questa italianissima “ora più buia” che non vede la sagoma di un Churchill all’orizzonte? Finora non sono state minimamente coinvolte, forse lo saranno in settimana quando si dovrà discutere il decreto con le misure economiche. Ma ci sono le condizioni per mettere la faccia su questo scempio quotidiano? Non ci pare.

Se sono sinceri gli appelli all’unità, gli auspici di un loro coinvolgimento, Conte sia congedato e si volti pagina. Ma finché è in atto la loro fascistizzazione, Lega e Fratelli d’Italia farebbero bene a onorare il prezioso ruolo che in democrazia, anche in tempi di crisi, è riconosciuto all’opposizione. Pd, Renzi e 5 Stelle, con la complicità di Mattarella si sono abbarbicati alle poltrone, hanno voluto – loro sì – “pieni poteri” nonostante le urne vuote? Che li usino, poi faranno i conti con gli italiani…

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