Società

Beneficenza lava coscienza: il metodo Ferragnez

Chiara Ferragni e Fedez quando cadono in qualche scandalo si rialzano così: promettono di fare solidarietà. Ma…

ferragnez sanremo Chiara Ferragni e Fedez

Dolci preziosi, di sicuro: ma erano uno schema, prima il pand’oro amaro, poi le uova di Pasqua: lei ci mette la faccia, l’azienda ci mette il cachet, i bimbi malati ci mettono la sofferenza, i balocconi ci mettono il borsellino. Uscite nessuna, entrate da 1 a 1,2 milioni di euro. “Continueremo a fare beneficenza, per me è un dovere morale”. Lo credo bene. Riassunto delle imprese precedenti: 2018, festa di compleanno del rapper imborghesito in un supermercato, volano generi alimentari in spregio alla miseria, un Cafarnao di surgelati, insaccati, verdure, peperoni volanti, lei nel carrello, i follower, che sono dei malati di mente, invasati nel baccanale alimentare, alla fine qualcuno se ne accorge e scoppia la vergogna (senza vergogna): “Diciamo che li diamo in beneficenza?”, chiede il Fedez, preoccupato, tirando nervosamente una sigaretta. Sempre con la beneficenza salvifica, per chi la fa.

Interno lockdown, siamo in pandemia, nel 2020 quando una raccolta fondi avviata durante il Covid per il San Raffaele di Milano sortisce una denuncia del solito Codacons che accusa: commissioni ingannevoli applicate ai donatori che, in buona fede, parteciparono all’iniziativa benefica. Finisce con una legnata da 1,5 milioni di euro verso Gofundme, piattaforma usata dalla coppia filantropa. Dice l’Antitrust: «Sfruttando la tragica pandemia in atto i consumatori furono spinti ad effettuare donazioni sulla piattaforma che era promossa come gratuita e invece prevedeva costi e commissioni preimpostate».

2021, esterno notte, il Fedez a bordo della Lambo da 300mila, ogni tanto, inchioda: ha visto un clochard, yoh, amico, vieni qua, e gli tira una busta, manco scende, gliela tira, con dentro banconote, tipo Favola di Natale, ma sono soldi raccolti dai soliti babbioni, non roba sua; seduto a fianco, qualcuno filma: si mette tutto il reste e la si chiama, se vuoi, solidarietà.

2022, esterno giorno. Chiara Ferragni in sostegno dell’ambiente. Affitta un elicottero e sale sul ghiacciaio con i guysss, la crew, insomma loro: si sparano lo spritz ecoattivista.

Sanremo 2023. Cachet, esorbitante, devoluto a qualche associazione contro la violenza sulle donne. Tutto bene? Mah, non se n’è parlato più. In compenso, i due, tra una slinguata omo e uno scazzo familiare, riescono a combinare quanto segue: lei apre in tempo reale un profilo Instagram con l’incauto Amadeus, da cui subito una moltiplicazione di pesci, intesi come follower: lei ci guadagna, la RAI ci smena, parte la sanzione: 170mila euro che non si sa bene chi sgancia, finché non è chiaro che si accolla tutto il servizio pubblico. Non paga, in tutti i sensi, riescono a portarsi nel retroscena le strutture di Amazon, diretta concorrente della Rai, che sta organizzando la seconda stagione della stucchevole sitcom acchiappagonzi casa Ferragnez: altro casino, altro multone. Due in un solo Sanremo, un trionfo.

Quindi arriva l’era del Balocco stanco: enfasi missionaria sulla raccolta fondi tramite la vendita di un pandoro che costa il triplo perché griffato Chiara, dal sapore forse un po’ Ferrigno, per dotare il Regina Margherita di un macchinario con cui curare i bambini oncologici. Poca roba in effetti, 50mila euro; 20 volte di più costa la faccia della testimonial. Dentro l’azienda c’è chi non nasconde esasperazione, preoccupazione e magari un filo di vergogna: “Un milione serve a coprire il suo cachet…”. Curiosa beneficenza, che non si nasconde, che finisce tutta a chi la fa. Ed è gigantesca. Sgamata, la nostra campionessa prima manda un comunicato strampalato, poi, realizzando che non può bastare, si lancia in un patetico video ospedaliero con tanto di volto emaciato, vestaglione di flanella, ma senza rutto libero, lacrime che non escono, malediione, interpretazione strozzata, o da strozzarla, peggio che all’Ariston, e una incredibile, farneticante spiegazione: ho commesso un errore di comunicazione. Ma davvero. “Darò un milione in beneficenza all’ospedale”. Cioè quello che si era pippata, e che adesso dovrebbe risputare come da multa dell’Autorità della concorrenza e del mercato, per pubblicità ingannevole. Ma con riserva, perché la nostra Madre Teresa in pasticceria è determinata a proporre ricorso, considerando “ingiusta la misura”. Certo, dovevano pure premiarla.

Pare tutto finito, e definito, ma la solita Selvaggia Lucarelli, implacabile, la cui azione una tantum è da giornalista di scavo, scopre una “operazione commerciale” speculare, implacabile business con la parvenza di solidarietà: lo schema Ponzi è lo stesso, lei, stavolta sulle uova di cioccolato, ci mette la faccia e introietta 1,2 milioni complessivi, l’azienda ci mette 36mila euro, una miseria, in tutti i sensi, i ragazzini autistici ci mettono il loro disagio, hey guysss. Bruciata, stavolta, la signorinella pallida, mamma di tutte le influencer? Parrebbe, ma mai dire mai: chi sa quante intraprese benefiche possono ancora saltar fuori. Mentre il marito, che è uno che non sai mai se corre in aiuto della moglie per soccorrerla o per stroncarla, si fa sbugiardare dalla Regione Lombardia: “No, bello, con le vostre donazioni avete finanziato 14 posti letto, non 150”. E andrebbe chiarito, una volta di più, da quali cespiti reali, perché il pericolo, inveterato, è sempre quel mescolare emolumenti personali, uscite da fondazione esentasse, crowfunding dei fresconi, guysss. Va bene, solo chi non fa non sbaglia, ma se ogni cosa che fai scatena un fall out radioattivo di conseguenze traumatiche, di risvolti imbarazzanti, di false verità, di “errori di comunicazione”, c’è qualcosa che non va.

Non è un errore di comunicazione, è una comunicazione dell’errore. Del perseverare diabolico. “Ho sbagliato”, e, per rimediare, devolverò un milione a me stessa. Dolci preziosi e lacreme napulitane, purissima sceneggiate, la cosa più reale di questi due sono i miraggi, anche il cursus honorum è una leggenda senza realtà: “la Bocconiana”, la chiamano, la ragazza di Cremona. Dalle dirette Instagram alla conduzione di Sanremo: perché? Perché ha i soldi, ha i follower che sono soldi, perché la sua faccia su un pandoro vale un milione. Tutto qui, non c’è altro, viva la qualità, viva il merito e il capitalismo delle cose, che crea, che sviluppa ricchezza, che crea apporto al Paese. Come no. Questa roba inquina più di tutta la CO2 dai tempi dei dinosauri. Difatti chi li difende questi moderni persuasori del nulla? La sinistra parassitaria anticapitalista.

Non solo loro, è guasta, è assurda tutta questa faccenda dei nuovi imbonitori, a curriculum zero, tanta spocchia, tanta riccanza che torna indietro anche quando finge di spendersi per i più torturati. Davvero abbiamo bisogno di tutto questo? E non è questione di cattiveria, di invidia, della gente che non ti perdona il successo, questa caduta degli dèi di schiuma era attesa, doveva arrivare prima o poi, perché il destino a tirarlo troppo per la cosa prima o poi si vendica, perché hanno fatto tutto da soli, perché la loro irrealtà presto o tardi doveva infrangersi contro scogli di rese dei conti. Ha detto una volta la ex Blonde Salad: “Sono una bella persona, ho forti valori”. Forse una delle pochissime volte in cui non dissimulava.

Max Del Papa, 20 dicembre 2023

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