Economia

Btp Italia: un vero successo?

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I BTP indicizzati all’inflazione – “BTP Italia” – al momento sono un successo, sia per chi li avesse comprati l’anno scorso che ora riceve quasi un 10%, sia per il governo che ne ha piazzati per 12 mld senza fatica. Giorgia Meloni celebra come “atto di fiducia verso le politiche adottate dal governo”.

Sono un successo perché pagano il 10% invece dei BTP equivalenti non indicizzati che pagano 3,3% circa o dei “conti risparmio” delle banche che pagano un tasso simile. Lo Stato qui in pratica distribuisce più soldi e gli italiani che possono o fanno in tempo accorrono.

Se parliamo di politica economica questi soldi andrebbero invece usati per, ad esempio, trattenere i giovani che emigrano invece di remunerare (alcuni) dei loro genitori. Invece di pagare di più sui BTP sarebbe meglio pagare di più chi studia e si specializza e poi va in UK perché gli danno il doppio dei 1.200 euro che trova in Italia. I giovani non hanno soldi investiti in fondi e obbligazioni e dei 6mila miliardi di ricchezza patrimoniale (“i risparmi”) non hanno quasi niente. Hanno in Italia gli stipendi più bassi del mondo industriale.

Voi direte che questa è demagogia populista e che il “risparmio degli italiani” è invece importante. OK, noi apparteniamo alla fascia anziana della popolazione e siamo interessati come tutti ai soldi in banca, parliamo quindi allora di dove è investito il risparmio degli italiani. 2.200 miliardi sono fermi nelle banche, il resto è investito dalle stesse all’80% (senza che uno se ne accorga bene) all’estero.

Allora, diciamo intanto che di bello questi BTP indicizzati hanno che non hai nessuna spesa, puoi persino comprarli da solo online senza scomodare la banca e questa volta sembra che le banche non li abbiano sconsigliati (nonostante appunto non ci guadagnino niente e gli tolgano un poco di soldi dai conti correnti, peraltro strapieni ora). Uno dei motivi per cui le banche, per una volta, non hanno invece consigliato i loro prodotti di risparmio gestito, è che nell’ultimo anno tutte le obbligazioni di ogni genere, titoli di stato e obbligazioni societarie, hanno avuto la perdita di valore maggiore del dopoguerra. In media, se si guarda a qualunque indice, i “bonds” o obbligazioni hanno perso, in occidente, oltre il -15% e così ovviamente i fondi obbligazionari in cui i risparmi degli italiani sono investiti.

In più, è esplosa l’inflazione, che in Italia tocca ora il 12%, per cui un risparmiatore che avesse messo i soldi in fondi obbligazionari, di qualunque genere (non solo italiani), ha ora perdite sul valore nominale del 15% e poi anche una perdita in termini reali del 10%.

Facciamo un esempio concreto della “protezione (o meno) del risparmio”. Un BTP con cedola 0% e scadenza agosto 2026, quindi relativamente meno rischioso del classico decennale, quotava l’anno scorso intorno a 100 e oggi oscilla intorno a 89, dopo un minimo a 86.

Il motivo è che per anni la BCE ha tenuto i suoi tassi di interesse a zero e ora che li alza il prezzo, che va all’inverso ovviamente del tasso di interesse, frana.

I BTP di scadenze sotto i cinque anni, come quello mostrato, davano quasi zero di rendimento e nessuna famiglia li comprava. Le famiglie compravano fondi e altri prodotti del risparmio gestito, che poi erano pieni di titoli di stato di tutto il mondo, tra cui anche i BTP.

Allora, se per ipotesi un italiano ne avesse comprati, ora vede una perdita dell’11%, ma se li tiene fino a scadenza, cioè nel 2026 sarà rimborsato a 100. Nel frattempo, se l’inflazione continua per altri due anni, perderà però anche un 20% circa in termini reali perché non riceve cedole. Nel caso abbia fondi comuni invece vede oggi nell’estratto conto una perdita dell’11% (o anche più alta perché altri titoli di stato nel mondo hanno perso persino un poco di più). Poi ovviamente paga anche un 1% e rotti all’anno di costi di gestione alla SGR. Sommando i costi del fondo, assenza di interessi e l’inflazione oltre il 10% annuo, nel 2026 puoi avere una perdita reale del capitale del 25%. Dato che nei sei o sette anni precedenti la quotazione era aumentata, alla fine col suo fondo farà forse pari.

Rispetto quindi ai BTP “normali”, negli ultimi anni tenere i soldi nel conto corrente, che non paga interessi, ma ha un po’ meno costi di gestione, sarebbe stato alla fine la stessa cosa e senza rischi. Ma non era colpa dei BTP, perché i titoli di stato inglesi, tedeschi o francesi hanno perso di valore nell’ultimo anno come i nostri (che almeno nelle scadenze sopra i cinque anni qualche minima cedola la pagavano).

Tutto questo per dire che:

a. il risparmio degli italiani è investito all’80% all’estero, tramite fondi e prodotti delle banche;

b. il risultato di perdite o guadagni, rendimenti e inflazione non dipende dal governo, ma dal mercato mondiale.

Se allora il governo emette tanti BTP indicizzati all’inflazione “proteggerà il risparmio” e mostra che può finanziarsi senza problemi? Innanzitutto, i BTP sul mercato sono circa 2.200 miliardi e devi rifinanziarne per almeno 360 miliardi l’anno, per cui i 12 miliardi raccolti sono una goccia d’acqua. Ma anche per i risparmiatori, perché il totale dei soldi in banca, tra conti correnti e il resto dei conti risparmio, fondi, polizze e altri prodotti sono ora 6mila miliardi e qui sono stati sottoscritti 9 miliardi, cioè lo 0,2%.

Se il governo decidesse di emettere BTP indicizzati in quantità significative, diciamo decidesse di rifinanziare tutti i BTP in scadenza con titoli indicizzati, si ritroverebbe nel prossimo anno a pagare invece del 3,3% circa medio attuale di colpo un 9 o 10%, come nei primi anni ‘80 quando pagava il 10 o 12%. E come allora farebbe esplodere il deficit solo per pagare interessi.  Se il governo rifinanziasse i BTP che scadono con BTP indicizzati per essere sicuro che gli italiani ne comprino, gli costerebbe in interessi una ventina di miliardi in più all’anno. Sarebbe un trasferimento diciamo di 20 miliardi dai contribuenti a chi ha risparmi. In questo modo l’unico effetto utile dell’inflazione, che riduce il rapporto debito/PIL, ovviamente scomparirebbe. E infatti nel mondo nessun governo si è messo a offrire ora maggiori quantità di titoli di stato indicizzati. Non lo dicono apertamente, ma tutti i governi e Banche Centrali contano sull’inflazione per ridurre l’incidenza del debito.

Già adesso, con il rialzo dei tassi di interesse della BCE e nel mondo in corso, il governo andrà a pagare di più nel prossimo anno (come tutti i governi, del resto, in USA o UK dove i tassi sono anche un poco più alti le cifre di interessi in più che si pagano stanno salendo in fretta).

In un momento di inflazione devi fare delle scelte. Una volta si indicizzavano gli stipendi e questo aveva salvaguardato il potere d’acquisto dei lavoratori, ma ovviamente anche prolungato l’inflazione. Se indicizzi i BTP, ma fai solo una piccola manovra di 9 miliardi non cambia granché perché il totale del debito pubblico è vicino a 2.800 miliardi e il totale dei BTP sui 2.200 miliardi.

“Proteggere il risparmio” è solo uno slogan perché come si visto negli ultimi 20 anni gli investimenti degli italiani sono finiti per almeno l’80% all’estero (tramite le banche e i fondi). Inoltre, ci sono 6mila miliardi in banca in totale, il triplo del PIL e sarebbe più giusto definirli come “ricchezza”, perché ci sono famiglie con milioni di euro liquidi. Poi altri che di soldi non ne hanno o hanno debiti e i giovani certo di soldi ne hanno pochi.

Negli anni dell’euro, la ricchezza finanziaria è l’unica cosa che è cresciuta in Italia come nel resto del mondo, mentre il PIL e gli stipendi calavano, le nascite crollavano, non si costruivano case e i giovani emigravano.

Finora è l’economia reale che è stata danneggiata, dalle politiche di austerità, dall’apertura alla Cina, dal taglio del credito sistematico alle imprese per dieci anni (avvenuto solo in Italia) e poi dal lockdown e ora dalle sanzioni (che creano un costo addizionale di energia per 80 miliardi). L’euro e le politiche di austerità e poi di liquidità della BCE hanno invece protetto solo la ricchezza finanziaria.

Pagare ora un 10% sui BTP indicizzati all’inflazione è innanzitutto un palliativo se sono piccole quantità. Se parliamo della famosa “sostenibilità” del debito pubblico come problema, andare su questa strada aumenta il peso del debito che l’inflazione invece ora riduce.

La soluzione è smettere di finanziare i deficit con BTP, che sono un’innovazione degli anni ‘80 pensata per gli investitori esteri e sono titoli che oscillano sui mercati (come abbiamo mostrato prima con un esempio).

Questo problema dell’oscillazione continua sui mercati vale infatti anche per i “BTP Italia” indicizzati. Se, come molti prevedono, ci sarà una recessione globale pesante, sparirà probabilmente l’inflazione, i tassi di interesse crolleranno di nuovo a zero e il valore questi BTP indicizzati oscillerà in basso, come gli altri BTP.

Lo Stato può invece finanziarsi offrendo conti correnti che paghino un interesse in linea con i bonds medi (intorno al 3% ora nel mondo occidentale). Lo Stato può offrire conti correnti come una banca, che usi per bonifici, bancomat e carta di credito però pagano un interesse come un BTP medio attuale. La differenza è che un conto corrente non oscilla di valore come i BTP e quindi in questo modo hai eliminato lo “spread” e non sei più ricattabile dai mercati finanziari.

Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, 22 novembre 2022

 

 

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