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Caro Porro, perché Ursula non paga per i suoi errori?

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Caro Dott. Porro,

sono un trentunenne che prova a fare l’imprenditore e “prova” ad essere un liberale. Mercoledì 24 febbraio, ho letto abbastanza sbigottito le parole del commissario Ursula von der Leyen: “…non sapevamo che aumentare la produzione di massa e superare i problemi iniziali sarebbe stato così difficile…”. Queste parole seguono le dichiarazioni del 10 febbraio: “…eravamo troppo ottimisti riguardo alla produzione di massa…”.

“Abbiamo sbagliato!” – e tutti in coro (se solo potessimo): “Grazie al c….!”. Veramente non si poteva prevedere quanto ora sta succedendo? Ne dubito fortemente (l’ignorante difficilmente descrive in maniera compiuta un oggetto o un processo che non conosce, figuriamoci che previsioni potrebbe farne). Se il vaccino, come credo e spero, salva vite umane, possiamo davvero perdere ancora tempo con le loro previsioni errate e le loro tardive scuse? La questione, purtroppo, è quella di sempre: perché questi personaggi non pagano mai per i propri errori?

Ho il privilegio (e a volte la sfortuna), date le dimensioni/strutture aziendali dei miei clienti, di interfacciarmi molto spesso e direttamente con la proprietà dell’azienda: una persona o una famiglia a cui, alla fine dei conti (e dell’anno), si riempie o si svuota il portafoglio. Quando commettiamo un errore, ad esempio vendiamo una macchina che non funziona come dovrebbe, sia che noi lo ammettiamo e corriamo subito ai ripari, diamo la colpa ai nostri fornitori, alle fasi lunari o neghiamo l’evidenza, il risultato sarà sempre lo stesso: il cliente si ricorderà molto di più dei problemi che dei benefici che gli abbiamo portato. È così nel rapporto tra cliente e fornitore, ma anche nel rapporto tra lavoratore (settore privato) responsabile e i suoi subordinati.

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