Stasera giochiamo a Genderopoli, un gioco piuttosto risikato, l’ha inventato una coi capelli da patriarca, riflessi bue marino, e siccome è credo di Siena dice “partiarhatho”, è un gioco da tavolo per prendere coscienza del patriarhato e quindi sconfiggerlo e no, non sto delirando, maremma drogata, c’è tanto di servizio della televisioncina che piglia tutto molto sul serio.
Patriarcopoli si chiama, oh meraviglia, Pink, è un gioco da tavolo, ricalcato su modelli standard, l’hanno concepito in tre: a vederlo pare di una noia mortale, da centro sociale, tutto un rosa fluido denso, pesante, le pedine, rigorosamente asessuate, agender si dice oggi, ho scoperto, ci sarà il tabellone coi percorsi, (se sei maschio bianco tossico vai in prigione senza passare dal via?), alla fine arrivi che sei completamente rieducato, una cosa che non sai se rabbrividire o scompisciarti, eventualmente fartela addosso dal ridere ma tant’è, tutti al centro sociale giovanile di Bolzano, si vede che a Siena un ce le volevano, la prendono e si prendono maledettamente sul serio, la creatrice creativa, poi c’è una piuttosto agée che vaneggia di “triggerare”, sarà una nuova pratica, poi uno probabilmente maschio, bianco, forse non tossico, convinto che il gioco serva a posizionarsi, che a me viene in mente il tramonto della civiltà patriarcale, sono maschio bianco, guida tu che sono stanco, poi c’è una molto neutra, praticamente insignificante, che dice una cosa apparentemente di buon senso e cioè che lei non ci gioca mica al Patriarcopoli, non è il modo giusto, non si può metterla così come fosse un giochino, la questione è troppo seria, insomma stigmatizza per difetto, altro che pedine, bisogna prendere tutti i maschi non neri e non islam e farli fuori senza passare per la prigione, ecco. Come anche dice Elena Cecchettin, di professione sorella, ma ci arriviamo tra poche righe.
“Pink è un gioho hollaborativo in cui l’obiettivo è sconfiggere il patriarcatho dove i giocatori debbono collaborare per moltiplihare le risorse e in hualhe modo avere delle vite normali quelle che noi vorremmo avere”. Delirante, tipo le Non una di meno, e allo stesso tempo vagamente minaccioso, no? Tipo che se non hollabori arrivano le guardie rosa e ti portan via. E la vita che devi fare è quella che ci piace a tutt* e a tutt* cioè piace a noi che ti diamo pure il giochino per ispirarti. Per posizionarti. Io dico che la faccenda si fa pericolosa, ma ce ne accorgeremo troppo, troppo tardi.
Siamo allo stordimento dello stupore: ma davvero siamo sicuri che il woke sta agonizzando? Eh, ma this is not America, l’Italia è il solito pantano nella palude europeista e non le passerà mai, qui i Trump non nascono, per cultura e per calcolo, se nascono diventano subito Aldo Moro, se no come minimo finiscono ad Hammamet, a noi non piacciono i decisionisti, li sistemiamo subito in fama di fascisti bianchi tossici maschi, preferiamo gli emollienti, è inutile disperarsi, siamo proprio fatti così, siamo cattolici, gesuitici, ci piacciono le soluzioni tortuose, aggiranti, paracule, dondolanti, ci piacciono le amache, gli snobismi da provinciali, ah quel Trump che bifolco, da odiare a prescindere, per motivi prima estetici, poi ideologici, qui anche il più bovino primitivo si sente meglio, a difendere la figa come categoria dello spirito c’è rimasto il compagno Marco Rizzo, guardato con sospetto da sinistra a destra.
E allora la situazione non è troppo seria, come dice la neutra scialba, non è neanche grave: è, semplicemente tragica, e tocca rassegnarsi. Le creative del Patriarcopoli potrebbero avere due obiettivi, che poi coincidono: uno, farsi comperare da una multinazionale patriarcale dei giochi da tavolo e fare i soldi; due, farsi arruolare dal Pd, e fare i soldi. Mettila come vuoi, la fine della civiltà è servita.
“Lo so che non basta” dice quella coi capelli da bue muschiato “ma è un inizio”. Sì, l’inizio della fine, del totalitarismo ludico, beato chi si aspetta l’effetto domino da Taicùn, qui arriva tutto smorzato, annacquato, acritico, relativizzato e torna indietro: per tutto il resto, c’è la magistratura, ossia il Pd. A proposito: se puntuale inesorabile per l’8 marzo torna a galla la citata Elena, di profession sorella, dalla copertina di una rivista di donne, con l’apostrofo e senza, anche lei capelli bue muschiato, dev’essere un segno distinivo, e con la solita mercanzia pubblicitaria: io, mia sorella Giulia, i femminicidi, il patriarcato. Oh, questa non cede, vuol raggiungere Ilaler Salis e ci riuscirà: alla fine di questo roller(spacca)ball tra figlia e babbo ne resterà uno solo a candidarsi; o magari, chissà, ambedue entrambi, Elena e Gino, sapientemente smistati, io vedrei lui Piddì e lei Bonelli&Fratoianni.
Comunque a vedere il servizietto della tivù locale c’è da aver paura: questa è la giovane gente che dovrebbe ereditare la terra e invece saremo noi a doverli mantenere a vita, sperando che si limitino a giocare perché se smettono, se decidono di fare qualcosa di serio la faccenda si fa molto pericolosa, molto, molto.
Max Del Papa, 6 marzo 2025
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