La spirale autocannibalistica del femminismo ultras arriva al punto di non ritorno: per l’8 marzo, attenzione, le donne femmine possono starsene a casa o al limite andare ai femministici, emancipatori club di spogliarellisti maschi: le avanguardie trans di Non una di meno non le vogliono, almeno non in cima all’adunata: “La testa del corteo sarà caratterizzata eslusivamente dalla sola (sic) presenza di persone FLINTA (donne, lesbiche, persone intersex, non binarie, trans e agender)”, categoria l’ultima che dev’essere tratta da qualche supereroe bucaiolo. Senza dire che già distinguere fra donne, lesbiche eccetera manda un curioso odore di razzismo. Ma sì, siamo ai cartoni animati, Le Flintones. Le Flintontes. Queste donne flinte delirano con tale protervia da travolgere il compatimento che si deve ai malati mentali: “Abbiamo bisogno di dare un corpo collettivo alle donne, alle soggettività femminilizzate e non conformi, che vivono ogni giorno l’oppressione di genere sui propri corpi. Perchè mancava da troppo tempo, perchè ogni giorno della nostra vita nessun luogo è davvero libero e sicuro per noi. La testa del corteo NON è pensata per essere uno spazio più sicuro di altri, pretendiamo che tutto il corteo lo sia, per questo invitiamo ogni persona presente ad essere responsabile della cura delle persone che lo attraversano!!”.
È il vaniloquio delirante di chi è capace di tutto, perché ha perso ogni coscienza ed ogni legame con la realtà. C’è molto narcisismo, ma questi affari in libertà non agiscono spontaneamente, sono truppaglia mandata dal PD con compiti di provocazione sovversiva, anche se è difficile credere a un qualche esito reale: i reparti dei degli attivisti climatici, per quanto a loro volta avvolti dall’insania fannullona, sembrano leggermente più concreti nei loro vandalismi “ispirati alle Brigate Rosse”.
Le sabbie mobili dell’autodistruzione non risparmiano la semiotica, per la prima volta tra vocali invertite e costrutti in brigatese allucinato (la postura politica, gli eterosessuali cisgender, il privilegio maschile eteronormato, il frasario alla Cattivik, “qualcun e qualcun”), compare accanto alla catalogazione femminista un asterisco: “rivolgiti alle compagne*…”. Come a dire che non hanno genere però lo vogliono mantenere. Questa benedetta maledetta neutralità, insieme predicata e smentita, imposta e vietata. E questa totale alienazione, inquietante al punto da lasciar sospettare gente velleitaria sì, inconsistente sì, ma proprio per questo pericolosa come una specie in effetti postumana, disumana, che si intossica al respiro della sua stessa improbabile esistenza. Gente assurda ma pratica quando fa comodo: ai “compagni maschi” chiedono compiti di propaganda, di sicurezza, non è chiaro se armata o meno, e anche di maternità capovolta, cioè devono tenere a bada i figli delle femmine con utero impegnate a sfilare; non manca il vittimismo aggressivo di stampo stalinista: non potete sfilare, men che meno in cima al corteo, ma dovete “riconoscere il proprio privilegio e metterlo a disposizione della lotta transfemminista, senza cercare di essere protagonisti, nessun (sic) vi giudicherà per questo”.
A questo segno giunti, il commentatore novecentesco è tentato di liquidare la faccenda per l’appunto in termini psichiatrici e anche sanamente repressivi, cioè prendetel tutt e tutt e buttate la chiav. Ma sarebbe una analisi rozza, sbrigativa: se la società del post, che ha lasciato indietro l’industriale, il moderno, il contemporaneo, l’informativo, il produttivo, in una perenne fuga in avanti in tutte le direzioni che si risolve nel ritorno al tribale e all’afasico, arriva a certe punte di dissociazione, di rifiuto di ogni realtà, occorre in qualche misura tenerne conto; non fosse altro per il motivo che si diceva, questa accozzaglia schiumosa ribollente, che si pretende senza sesso ovvero di tutti i sessi, forse non è innocua come sembra, forse è pronta, si presta a compiti più indecenti, più preoccupanti: a un dato periodo della lotta armata, le femministe fanatiche furono le più efferate; e nel loro massimalismo sanguinario, non erano invasate, estremizzate come queste. O questi, o quest*. Sono saltate, vogliamo dire, tutte le categorie analitiche e di esperienza, per dire di relazione con l’esistente e con la storia. Siamo di fronte ad esemplari inediti e inqualificabili, sfuggenti, anche lo stile espressivo segna un punto di non ritorno, siamo all’incomprensibilità strutturale, alla follia semantica, al nonsenso della neolingua.
L’unica cosa che appare, se non chiara, per lo meno sufficientemente intuibile è la carica di rabbia scomposta, esagitata, la violenza endemica di un odio vittimistico, sì, ma come incontrollato nel suo irrazionalismo totale, contro tutt e tutt. Sbaglia chi liquida tutto questo con una scrollata di spalle e un riso sprezzante: per ora piccole punte avanguardistiche di un pensiero che pare agonizzante, ma nel tempo liquido del tutto possibile non si sa mai. Certo è singolare questo corteo di pure femmine in tutte le declinazioni immaginarie, pur che mai maschili, che pretende la “testa Flinta” e se la ritrova di…
Max Del Papa, 4 marzo 2025
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