Papa Bergoglio è papa capace di riportarci alle più interessanti correnti artistiche del XX secolo e il suo intervento di ieri si inserisce di diritto nel dada, nel surrealismo, nella neoavanguardia; sarebbe stato il trionfo del Gruppo ’63, per dire. Uno spottone non tanto alla Giornata della Memoria quanto a Fabio Fazio, il cui programma utilizza in modo disinvolto l’Olocausto a fini di audience. Come ogni anno. Ma che le logiche televisive si alimentino del cinismo lo sappiamo, e ci può stare, meno che un pontefice arrivi a far cassa di risonanza per un programma, sia pure con tutta la buona fede del caso.
In verità, in verità vi dico che l’intervento papale papale in pieno Angelus domenicale lascia col mento in terra i fedeli, e non solo loro: passaggio completamente bislacco, strampalato, dissacrante, nel senso etimologico: siamo oltre la provocazione, non c’è più niente di sacro in questo papa totalmente consegnato alle dinamiche dello spettacolo, con una vanità sconosciuta ai predecessori, perfino a Wojtyla che il mezzo lo padroneggiava e lo sapeva; diciamo che tra il Ratzinger impacciato, schivo, chiuso, e questo argentino che i media li cerca, ne abusa, ci si rivolta con voluttà peccaminosa, c’è l’abisso della Storia – sono passati pochi anni, ma sembrano ere diverse. Il sommo pontefice sempre più da bar de Caracas, o de Buenos Aires, o der Quadraro, insieme a Elodie, tuona, ammonisce e non si stanca contro l’uso perverso dei social, dei media, ma li sfrutta e vi indulge come nessuno, neppure laico. Ha trasformato i colloqui coi giornalisti, le uscite pubbliche in uscite da bar, e a volte, spesso, si direbbe che si esalti della situazione, arrivando a spararne di clamorose.
L’occasione di ieri, dalla finestra, è una di queste, anzi è forse il climax. Poche parole, ma chi gliele ha scritte? E passi pure l’“Ausvicch”, per Auschwitz, che ricorda il “tri scotcess” del geom. Calboni al night, che si può anche capire per lo scarto di idiomi, ma come fa un papa a parlare della persecuzione “di milioni di persone ebree e di e altre fedi” mescolando storia, fede, etnie in un pentolone assurdo? Poi il rimando alla poetessa “Edith Bruck!”, quasi fosse una birra, che “si può ascoltare al programma ‘Che tempo che fa!”: qui metà fedeli di sotto cascano tramortiti, l’altra metà barcolla ma non molla: abbiamo sentito bene? È lui o non è lui? Certo che è lui: chiude in apoteosi definendo la Bruck “una brava donna”.
Che papa che fa! Francesco è chiaramente in difficoltà, parla con grande fatica, quasi in apnea, e gli si deve il rispetto della sofferenza, ma, sotto la clip, il cosiddetto popolo dei social, che è costituzionalmente carogna, non prova nessuna pietà e va giù duro con il sarcasmo: chi lo chiama “signorino buonasera”, chi scomoda il metaverso, l’intelligenza artificiale. In effetti la scena pare improbabile, ha un che di irreale: al dunque non è niente di che, l’ennesima uscita opinabile di questo capo della Chiesa cattolica, che per alcuni resterà come il papa della gente, ma sarebbe più esatto papa populista, per altri, senza mezzi termini, un antipapa che ha completamente evirato il sacro dal suo ruolo e dalla Chiesa in generale.
Non è tanto lo spottone per l’amico dal quale era stato appena una settimana fa, per quanto discutibile: è la deriva, alla quale non siamo ancora abituati, quasi traumatica, di un sommo pontefice che oltrepassa le colonne d’Ercole della comunicazione, ossia della vanità, e sbarca irreversibilmente nella dimensione influencer. Un papa creatore di contenuti. La cosa sgomenta i fedeli hardcore, come li avrebbe definiti Frank Zappa: “Non so più cosa pensare, da cristiana mi sento sconfortata e tradita!”. Magari esagerano, ma il fatto è che lui sembra fottersene allegramente di cosa pensano i fedeli, tira dritto e li getta nella più diabolica confusione.
A questo punto, tutto è possibile siccome niente è vero; o, per dirla con Tom Waits, “tutto quello che puoi pensare è vero”. Anche che Bergoglio, la settimana prossima, raccomandi Tony Effe a Sanremo, o persino che ci vada, o che mandi un contributo filmato, tra una biografia e una Lettera, un volume di fumetti (perché no con Zerocalcare?) e un album di figurine. Papa sovraesposto con giubilo suo e sconcerto di chi prova, si ostina a seguirlo nelle sue discese ardite e le risalite, in quelle traiettorie capricciose e non di rado contraddittorie.
Ma che volete farci? Questi sono i tempi e i tempi non aspettano nessuno, neanche il Papa: lo stravolgono, lo plasmano, lo adeguano alla temperie. Dice Bergoglio: non state a perdere tempo sui social, con la televisione, è farina del diavolo, e poi raccomanda un programma televisivo, per giunta militante. A margine possiamo concludere che perfino l’Olocausto è diventato pretesto, occasione festivaliera, e qui hanno le loro responsabilità non solo i mezzi di comunicazione ma anche chi gestisce la faccenda e di anno in anno sembra sempre più determinato a farne uno spottone autoreferenziale. Come Liliana Segre al Museo dell’Olocausto con Chiara Ferragni. E quell’altra, più sovraesposta del Papa, che la adottava come nipote.
Visioni, situazioni incomprensibili, che non hanno niente a che fare con la Memoria, che la inquinano, la inflazionano e non aggiungiamo altro, limitiamoci a considerare lo zeitgeist e, quanto a questo, se non vi dispiace, se il cognome di chi scrive ha un senso, vogliate accettare anche il seguente invito e cioè che “potete seguire questa testata, e anche la Suppa de Porro, e anche la Ripartensa imminente a Milano”.
Max Del Papa, 27 gennaio 2025
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