Rassegna Stampa del Cameo

Che volgarità quel lungo applauso a Mattarella

Quando non ne posso più del modo in cui fanno giornalismo alcuni quotidiani del mainstream nostrano, mi rifugio nel Corriere del Ticino di cento anni fa (10 dicembre 1919). Prendiamo un caso attuale. All’inaugurazione della Scala l’arrivo del Presidente Mattarella è stato salutato da un lunghissimo applauso da parte del pubblico presente. Una non notizia (al limite si poteva scrivere “applausi scroscianti all’arrivo del Presidente”). In un teatro vale il principio che gli spettatori, avendo pagato il biglietto, hanno il diritto di applaudire o di fischiare a loro piacimento gli attori o i cantanti. È evidente che se vuoi applaudire, ed è giusto farlo trattandosi oltretutto di una persona perbene per eccellenza come il Presidente Mattarella lo fai prima dell’inizio dello spettacolo, mentre applausi o fischi agli attori-cantanti li fai nel durante o alla fine dello spettacolo.

Nello specifico gli spettatori erano tutti coinquilini del “cuore del cuore” della Ztl milanese, forse produttori di una grande fetta del Pil italico, e pure persone educate e colte per status e censo. Si identificano in lui? Bene che lo vogliano sottolineare. Quando l’applauso però supera un tempo ragionevole (un paio di minuti sono lunghissimi) e puntano a battere il record (sic!) del 2018, allora scivoliamo nel mondo della volgarità politica. Personalmente al posto del Presidente mi sarei trovato in forte imbarazzo. È chiaro l’apprezzamento per il paio di minuti iniziali che esprimono affetto sincero verso l’autorità massima del Paese, ma quelli che seguono, atti a battere un ridicolo record, no. Sono applausi intrisi, ripeto, di volgarità politica. Che tristezza, l’élite più rarefatta del Paese, in preda a un virus intellettualmente devastante, applaude il Presidente per fischiare l’ex Ministro dell’Interno. A questo siamo giunti. Sono senza parole.

Ecco come cent’anni fa il Corriere del Ticino racconta un episodio di cronaca riferito a un impiegato delle Ferrovie, dando come titolo Crisantemi: “A soli 31 anni, quando sorride il fiore della gioventù, l’affetto della giovane sposa, l’amore di tre vezzosi figlioletti, è triste, immensamente triste, il dover troncare la propria esistenza. E così purtroppo all’alba di stamane, dopo sette giorni di malattia violenta (pleurite), rapiva all’affetto dei suoi cari il Signor Tschumi Goffredo che fu per cinque anni impiegato addetto al Capo Stazione e da sette contabile apprezzato e stimato presso l’Ufficio Merci. Alla giovane desolata vedova, ai figlioletti, giunga, in sì crudele momento, l’espressione del vivo dolore, commiserato a sì grave lutto”.

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