Cronaca

Cirinnà, dal cuccia-gate al ristorante rurale: “La terra non si possiede” (tranne la sua)

Monica Cirinnà ristorante

Il marxismo storico e dialettico, profetico e scientifico, scientifico alla maniera dei virologi e i climatologi, ha sempre avuto una concezione curiosamente schizoide della proprietà privata: va abolita, va abbattuta, però la tua. La mia no. La mia resta perché è geneticamente sociale. “Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”. È una cazzata da imbonitori, come per tutto Marx, ma faceva e continua a fare presa: siamo dalle parti della rivoluzione sociale, il giovanotto dedito al parassitismo esistenziale gravitava attorno ad Hegel, non rinunciando ad accusarlo di spiritualismo assoluto nel sistema; e, nella “Sacra famiglia”, getta il seme del suo approccio rivoluzionario sul piano “filosofico” e oltre. La sacra famiglia è quella di Monica Cirinnà, oggi in disuso dopo radiose stagioni parlamentari virate in arcobaleno (mancò l’arcocromatismo, non l’onore), invettive di stampo contro-futuristico (“Dio, patria e famiglia: che vita di merda”) e cucce del cane farcite di bigliettoni di provenienza rimasta ignota.

Oggi Cirinnà è tornata, come Cincinnato, all’aratro, ma in quale dimensione! Eccola in un video autopromozionale dove illustra la sua, di proprietà, una tenuta nel Capalbiese che, se uno la vede, si chiede: con compagni come questi, chi ha bisogno di capitalisti? “Terra Capalbio” si chiama la fazenza, “nata dall’intuizione e dal grande amore mio e di mio marito”, già, l’ex sindaco di Fiumicino, l’Esterino Montino. La narrazione è un tripudio di sinistra pariolin-capalbiese, dall’inflessione di Monica, alla mitologia sul celentanesco proletario, “Qui c’era solo una sassaia, fatta di niente”, fino allo stile da possidente inclusiva, ai sandaletti terra terra di impeccabile gusto etnico. Manca solo Venancio, lo sguattero filippino immaginato da Capezzone. Monica s’aggira, si cita, si esalta, insomma si sponsorizza, perché certe le cose se le fa Briatore è un conto, se le fanno i comunisti è tutta n’altra dialettica; e sulla tenuta equa, solidale, resiliente, inclusiva, genderizzata, senza Dio né patria né famiglia, è come non tramontasse mai il sole: ma quanto è grande?? Ma dai, che domande plebee, non sta bene, lasciami sentire. “Oggi la nuova sfida di Terra Capalbio è il nostro ristorante rurale”, formula che, per chiarezza, se la batte con Marx: vuol dire che si cucinano piatti coi frutti della terra, come per tutti i ristoranti di questa terra. Ma così fa un altro effetto e chi non lo capisce è perché è un lanzichenecco non avvezzo alle sfumature dell’imprenditoria natural-rivoluzionaria da cui trarre olio, vino, conserve di pomodori, “pisseelli”, ah no, quello era Ruggiè con la setta dei figli dell’amore eterno. ‘Na cafonata.

 

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The Montinnà sono altra classe. Tutto nel tour via Instagram è risplendente, tirato a lucido, si respira quel confortevole profumo di cose buone, e belle, e soprattutto ricche. Ricche da far schifo, direbbe Renato Pozzetto. Da far schifo a un comunista rivoluzionario marxista. Invece no. Monica, con giusto orgoglio, sponsorizza la possidenza, la riccanza, diciamo il benessere, va’. Solo che, in tanta facoltà, in tutto quel ben di Marx, non si vede l’ombra di un incluso. Siccome la sora Cirinnà è una che spinge per l’accoglienza a tout prix, e senza limiti, verrebbe subito da rivolgerle la stessa domanda buona anche per quell’altro bel personaggio che sta in Vaticano: tu quanti te ne sei presi? Dove li hai messi? E no, non stiamo parlando della servitù, tipo l’ingrata, forse ricorderete, che due estati fa, proprio ai tempi della scoperta della cuccia-caveau, piantò in asso la padrona sull’orlo del ferragosto e di una crisi di nervi: “Così, di punto in bianco, ingrata: mi tocca anche fare la lavatrice da sola!”. È storia, eh, non un film dei Vanzina. No, noi diciamo proprio gli sbarcati a Lampedusa al ritmo di 1500 al giorno, con pieno diritto, almeno se le teorie cirinnesche sono coerenti, di svacanzare a piedi per aria, serviti e riveriti. Niente, manco uno. Il deserto delle risorse.

Per approfondire

Ma questo è niente, il bello addavenì e la nostra ultracompagna rurale lo regala parlandoci di “un gruppo di giovani che decidono di mettersi alla prova dando alla natura il primato che merita”. Non ho afferrèto, scusi: vuol dire forse che i Montinnà pigliano lavoranti? A quale stipendio? 9 euro per loro posson bastare? Oppure nel mettersi alla prova è compresa la soluzione comunista, tu lavori gratis e io incasso, e poi si fa la rivoluzione, oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente? Sono dettagli che ameremmo conoscere, anche per aggiornare la nostra interpretazione dei Manoscritti economico-filosofici e se mai maturare una coscenza climatica in grado di opporsi alle reificazione. Insomma: questi li paghi, o si attaccano? E, se mai, quanto? Nei commenti, tutti rigorosamente comunisti, manco uno si scomoda alla benché minima considerazione social-rivoluzionaria: tutto un tripudio di “ma è stupendo”, “che lusso”, “siete grandisssimi”, “verremo sicuramente”, “ci porto i figli” (pellegrinaggio, magnata e lettura dei Grundisse: che vita piddina), uno scrive addirittura “Parole sante”: deve riferirsi al pistolotto finale in cui la nostra pasionaria dell’orto ci affida quanto imparato dagli indigeni andini aymarà (ma è sciccosissimo!!!) e cioè che “la terra non appartiene a nessuno, non si può possedere, chi ce l’ha la deve condividere, l’armonia va condivisa con tutti”. Ah non appartiene a nessuno. Cioè prima me fai vedè la proprietà agricolo-terriera, e poi torni all’abolizione della proprietà, alle paraculate tra Marx e Lennon?

Ma insomma, ‘sta cazzo de terra: è di tutti, di nessuno o solo tua? ‘Sta tenuta, dico ‘sta Terra Capalbio, è vostra o non è vostra? È dello stato? Sta in concessione? I prodotti a chi vanno? I proventi del ristorante rurale, etnico e solidale? Si paga pe’ magnà? Chi ci lavora è alienato, sfruttato dal plusvalore, quello vostro, o è in cooperativa sociale e voi fate come gli indigeni aymarà? Ma guarda che ce ne vuole eh. Il comunismo Cirinnà, eccolo qua: la terra è di tutti, non ha confini, va condivisa, però vi invito al mio ristorante, dove si mangiano i miei prodotti, del mio orto, della mia tenuta, sui miei terreni. Io la piglio in parola: organizzo un torpedone con 52 persone, tutti a magnà dai Montinnà, e nessuno pagherà. Se si incazzano e chiamano la polizia, li filmo io stavolta; se invece gli sta bene così, ci torno pure la settimana seguente.

Max Del Papa, 29 luglio 2023