Politica

Come il nemico di Greta ha risolto il dilemma di Einstein

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

Come avevo promesso, vi dico ora cosa della fisica quantistica turbava Albert Einstein. Sedetevi comodi, abbiate cortese pazienza, e seguitemi: parlerò di carte da gioco “magiche”. Per millenni abbiamo creduto di vivere in un mondo ideale, non quantistico, dove ci sono due tipi di carte da gioco, carte bianche e carte nere con la seguente caratteristica: se una di queste carte sta coperta sul tavolo, quando la si scopre essa risulterà o bianca o nera; se si hanno due carte coperte di colore diverso, quando se ne scopre una e risultasse bianca, possiamo dire con certezza che l’altra sarà nera. Una conseguenza «ovvia» da tutto ciò è che il colore di una carta coperta era quello osservato anche prima che la carta fosse scoperta: è, questo, un «ovvio» principio di realtà. Insomma, possiamo dire che lo “stato” delle carte osservate bianche è lo stato bianco (B) e lo stato delle carte osservate nere è lo stato nero (N), ed esso tale è indipendentemente dal fatto che le si sbirci o no. Ovvio, no?

Nel nostro mondo reale – che è il mondo quantistico – esistono carte bianche e nere “magiche”. Quando si scoprono si rivelano sempre bianche o nere. Tuttavia, oltre quelle che si rivelano sempre bianche o sempre nere – e in questo caso diremo che il loro stato è B o N – nel nostro reale mondo quantistico è possibile anche avere carte che, quando le si copre e scopre più volte, esse risultano a volte bianche a volte nere. In particolare, è possibile avere carte che, quando le si copre e scopre più volte, esse risultano metà volte bianche e metà volte nere: carte siffatte vengono dette dalla fisica quantistica nello stato G. La cosa importante è che quando una carta “magica” coperta si scopre, qualunque sia il suo stato (B, N o G), essa risulta essere, comunque, o bianca o nera. Einstein era turbato dal fatto che la descrizione offerta dalla fisica quantistica fosse incompleta: se una carta nello stato G viene vista, per esempio, bianca – osservava il grande fisico – essa doveva essere nello stato B anche prima di scoprirla, per quell’«ovvio» principio di realtà sopra citato; invece la fisica quantistica la descrive in uno stato G. Questo turbamento di Einstein va meglio chiarito, altrimenti non si rende giustizia alla sua acuta intelligenza; e noi non vogliamo fare divulgazione, ma dire le cose come stanno.

Le carte possono prepararsi nello stato B, N o G immergendole in vernice bianca, nera o grigia. Due carte, però, possono prepararsi nello stato G anche in un altro modo: strofinando tra loro due carte, una bianca e l’altra nera. Supponiamo ora di preparare per strofinio due carte in uno stato G (ognuna, quando scoperta, dà la stessa probabilità di rivelarsi bianca o nera). Le due carte così preparate per strofinio hanno, però, una caratteristica peculiare: esse sono intrinsecamente collegate tra loro, nel senso che quando, scoprendo una, essa risulti, per esempio, bianca, l’altra risulterà con certezza nera (e viceversa). Si badi che la cosa risulta come detto anche se una delle due carte preparate per strofinio nello stato G fosse spedita su Marte. Lassù una informazione inviata dalla Terra non può giungere prima di, almeno, tre minuti: senonché la carta nello stato G su Marte è vista certamente nera anche solo un secondo dopo aver vista bianca la sua compagna nello stato G sulla Terra, cioè quando ancora l’informazione sul colore della carta sulla Terra non può essere pervenuta su Marte.

La cosa disturbava Einstein perché – argomentava il grande fisico – se in alcun modo la carta su Marte può sapere che quella sulla Terra è stata vista bianca, come fa la carta su Marte a rivelarsi nera? Doveva essere nera anche prima di essere scoperta – dice Einstein – e questo per quell’«ovvio» principio di realtà, detto sopra. Tutto l’ambaradan appena detto è noto come paradosso EPR (di Einstein-Podolsky-Rosen, 1935). Siccome la fisica quantistica descrive le due carte come nello stato G, Einstein conclude che la fisica quantistica dà una descrizione incompleta delle cose, perché vìola l’«ovvio» principio di realtà. Ma, notavo già nel mio articolo precedente, la realtà è dannatamente contro-intuitiva, e non tutto ciò che è ovvio è necessariamente vero: per saperlo bisogna fare una verifica sperimentale. Ci vollero trent’anni prima che qualcuno suggerisse il tipo di esperimento da fare, e fu il fisico irlandese John Bell (1964) a dare il suggerimento. Successivamente, ci fu chi fece quegli esperimenti: li fecero, ognuno per i fatti propri, l’americano John Clauser, il francese Alan Aspect, e l’austriaco Anton Zeilinger. Nel 2022 i tre furono insigniti del premio Nobel per la fisica; purtroppo Bell mancava già dal 1990. Fatemi allora raccontare la disuguaglianza di Bell a modo mio.

Mantenendoci nel contesto delle nostre due carte preparate per strofinio come detto sopra, con una di esse spedita su Marte, il suggerimento di Bell fu il seguente. Si abbiano tre coppie di lettori di colore di carte, con i lettori della stessa coppia identici tra loro, mentre i lettori di coppia diversa sono diversi tra loro: solo lettori identici sono tali che se si legge bianca la carta sulla Terra allora è letta certamente nera la carta su Marte. Tre lettori (uno di ogni coppia) stiano quindi sulla Terra e tre siano spediti su Marte. Si eseguano moltissimi esperimenti di lettura delle carte e si consideri in particolare la circostanza ove la carta sulla Terra sia rivelata bianca dal lettore “1” sulla Terra, e la carta su Marte sia rivelata bianca dal lettore “2” su Marte (la cosa è possibile perché sono lettori non della stessa coppia, cioè diversi tra loro). La frequenza di occorrenza di questa circostanza sia indicata con F(1;2). Nella nostra notazione, a sinistra del punto e virgola indichiamo ciò che accade sulla Terra, e a destra del punto e virgola ciò che accade su Marte.

Se vale l’«ovvio» principio di realtà, si deve avere l’uguaglianza: F(1;2)= F(BNN;NBB)+F(BNB;NBN). Questo perché se il lettore “1” sulla Terra e il lettore “2” su Marte leggono bianca la carta, allora il lettore “2” sulla Terra e quello “1” su Marte la leggerebbero necessariamente nera; ai fini della determinazione della quantità F(1;2), bisogna naturalmente tener conto delle letture sia (B;N) che (N;B) da parte dei lettori della coppia “3”.

Bell suggeriva di determinare anche la frequenza F(1;3) dell’occorrenza in cui le due carte sono rivelate bianche dal lettore “1” sulla Terra e dal lettore “3” su Marte; e, infine, anche la frequenza F(3;2) dell’occorrenza in cui le due carte sono rivelate bianche dal lettore “3” sulla Terra e dal lettore “2” su Marte. Per F(1;3) e F(3;2) possiamo scrivere uguaglianze analoghe a quella scritta sopra per F(1;2) e, dopo semplice aritmetica, perveniamo ad un cruciale risultato (i dettagli li potete seguire nella figura in fondo all’articolo): se l’«ovvio» principio di realtà è vero, allora deve valere la disuguaglianza di Bell: F(1;3) + F(3,2) ≥ F(1;2).

Gli esperimenti di John Clauser, Alan Aspect, e Anton Zeilinger hanno confermato che la disuguaglianza di Bell non è soddisfatta. Di conseguenza – facciamocene una ragione – il principio di realtà non appartiene al nostro mondo, nel senso che in esso esistono carte “magiche” tali che, quando ne scoprite una e la trovate bianca essa non era necessariamente bianca prima che fosse scoperta. Inutile dire che le carte “magiche” usate negli esperimenti non erano carte: erano fotoni di luce polarizzata; né fu necessario spostarsi fino a Marte.

Una chiosa finale: Clauser è lo stesso che ha firmato la Dichiarazione mondiale sul clima di Clintel, secondo cui non esiste alcuna emergenza climatica dovuta all’uso dei combustibili fossili che fa l’umanità. È un gran peccato che l’umanità segua le lezioni di Greta Thunberg invece che quelle di John Clauser.

battaglia

Figura: Derivazione della disuguaglianza di Bell.

 

Franco Battaglia, 30 marzo 2025

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