C’è qualcosa di diversamente sinistro nel cupio dissolvi del gruppo Gedi le cui Stampa e Repubblica dichiarano cinquanta, sessantamila copie (gonfiate?), comunque incapaci di rappresentare più altro che se stesse. Una pulsione autoreferenziale sempre più sul paranoico: l’intento dichiarato di Scalfari, porsi come riferimento ideologico e culturale della sinistra ultraborghese, completamente perso o tradito, la paccottiglia delle firme attuali, le iniziative perdenti, destinate a scadere nel patetico, nel ridicolo, dalle chat antifà al Ventotene totalitario. Su tutto, l’ossessione non si sa se più infantile o senile per Mussolini, uno che ha fatto male alla destra ma di più alla sinistra paranoica nel segno dell’ur-fascismo postulato da Umberto Eco, anche quello una trovata retorica furba ma fondamentalmente idiota.
Sarà che Mussolini alla fine restava socialfascista, come scrisse nel 1983 Giorgio Bocca in un suo discusso pamphlet. A distanza di abbondanti 40 anni, la figura del Duce è più popolare che mai nella ridotta del giornalismo reazonario di sinistra, perdente ma ostinato: dannoso per il conformismo populista della sinistra affarista, redditizio per gli intellettuali discount che fatturano e raschiano dal loro barile: adesso Repubblica esce con l’ennesimo riciclo dell’uguale, l’inesorabile Mussolini rispolverato dall’inesorabile Scurati: su compagni, su cazzari, accorrete in fitta schiera, si approssimano il 25 aprile e il primo maggio, le feste comandate dei tecnoprogressisti tra il fondamentalismo dell’ANPI e il reducismo gastromonetario di Farinetti e Carlin Petrini, tra il nostalgismo umoristico di Serra e Gino&Michele e l’autogrottesco di Luciana Littizzetto. Coi succedanei di artisti tutti in fila a pugno chiuso al baraccone concertistico della CGIL.
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Quel milieu lì, tristissimo e incarognito perché improvvisamente perdente, di retroguardia. “Fascismo e Populismo. Mussolini oggi”, così si ridefinisce l’ennesimo pippone di Scurati e ci vuol niente a capire che Mussolini oggi è la Meloni, M per M, in un tripudio del demenziale perché se c’è una sideralmente lontana dal Mascellone di Predappio, come lo chiamava Philippe Daverio, è la nostra Giorgia che se al limite quell’altro ha il trasformismo tattico senza strategia precisa. Ma le analogie finiscono lì e quelli che la accusano di non dirsi antifascista in quanto fascista sono dispensatori di coglionate.
Chi la legge questa ennesima sbobba firmata Scurati? Mah. La prenderanno, quei pochi, in allegato col giornale, come atto dovuto di militanza, la metteranno in bella vista sullo scaffale ad assorbire polvere, e morta lì. Iniziative mestissime, oltre il patetico, votate a sicura sconfitta. La sinistra sottoculturale è la faccenda più retrograda e codina possibile, il suo immaginario è retrospettivo, la faccenda del fascismo che non passa o di ritorno è sbrindellata, ha saturato perfino i più fanatici. Può far presa giusto sui residui lunatici, gli Askatasuna, le Ilaler Salis, che però hanno altri riferimenti, che hanno sempre considderato un foglio come Repubblica infingardo, in odor di riformismo opportunistico. Repubblica non se ne dà per inteso e insiste in un radicalismo senza senso, senza residua speranza di far presa. Un antifascismo pavloviano, un’isteria che suona falsa, caricaturale anche perché ad alimentarla sono personaggi francamente insopportabili: classisti, più odiosi che antipatici secondo lettura ricolfiana, rinchiusi nei loro bunker ideologici ed ecosostenibili.
Ma che può dire ancora questo Scurati dopo colonne di libri di storicistica approssimativa imbevuta in una narrativa andante? Militanza di consumo che si rispecchia nell’immancabile vittimismo arrivistico, adesso sta in predicato per un posto da assessore in Campania, ma lui vorrebbe di più, vorrebbe la sinecura europea? Ormai i libri si fanno per passare oltre, per sbarcare in politica. Scurati contro M, che sta per Mussolini ma soprattutto per Meloni, lui come la pletora dei paraculi che se Mussolini non ci fosse mai stato avrebbero dovuto inventarlo e siccome non c’è più lo reinventano in una neanche boomer, una leader quasi generazione X, cresciuta negli anni dell’edonismo e del ritorno del privato, una che fascista non saprebbe esserlo neanche volendolo. Allo stesso modo di questi, più o meno coevi, che scimmiottano un comunismo democratico mai conosciuto e comunque ambiguo di suo, risoltosi fin dal dopoguerra nel dirigismo capitalistico di stampo amministrativo, lasciar fare, lasciar passare dietro le fumisterie dell’antifascismo circolare. Su che altro si è fondato il boom italiano, innescato dagli aiuti americani, se non sulla particolarissima alleanza cattolica e comunista nel segno della coesistenza sociale ed economica, sulla spartizione delle istituzioni, sul coordinamento di una sostanziale evasione dalle regole formali codificate nel segno dell’antifascismo democratico?
L’antifascismo di sistema, vogliamo dire, c’è sempre stato – pagando il prezzo delle risacche terroristica, delle illusioni golpistiche, dello stragismo di Stato – e ha tenuto proprio perché sistema, unica via praticata e forse praticabile per gestire masse storicamente opportunistiche e ondivaghe. Ciò che i movimenti eversivi e sovversivi non capivano perché la loro rivoluzione estetica glielo impediva, morta quella morivano tutte le illusioni peterpanesche. Il vecchio vizio di inserire nel pantheon post fascista ogni personaggio da demolire, dai maggiorenti democristiani ai nemici interni, da Craxi, a Berlusconi, fino ai Salvini, alle Meloni è sempre stato un artifizio cretino, una trovata retorica per mantenere una egemonia moralistica oggi completamente dissolta. Restano le operazioni commerciali improntate a sicuro velleitarismo, restano le sbobbe liofilizzate, pessime, vagamente psicotiche, di personaggini senza spessore che si agitano nel gruppo editoriale degli Elkann il quale regala i suoi abbonamenti, procede per inerzia, resta penzolante come il tentacolo morto di una piovra.
Max Del Papa, 15 aprile 2025
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