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Comincia la faida nel M5s

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Ha sempre l’espressione di chi si trova lì per caso, disorientato e spaesato, e vorrebbe condurre la sua vita tranquilla fra casa e lavoro. E in effetti la situazione di Vito Crimi, il reggente del Movimento cinque stelle, è un po’ questa, e anche quella del perfetto capro espiatorio di una guerra per bande troppo a lungo dissimulata, anzi rimossa, messa sotto il tappeto, che in queste ore è esplosa in tutta la sua virulenza. Lotta per il potere fine a sé stesso.

Nuova casta

Ed è una nemesi crudele per un gruppo di amici cementato dalla voglia di cambiare il sistema e dal sistema, che li ha perfettamente integrati, sono stati rapidamente e perfettamente cambiati. E non è nemmeno un paradosso che questa resa dei conti, queste sparatorie da far west, avvengano proprio nei giorni in cui il Movimento ha portato a casa, superando la prova della conferma popolare, un provvedimento che riforma la Costituzione nella direzione indicata di due “miti originari”: il taglio delle spese e la democrazia diretta. A quei miti, nessuno più fra i pentastellati crede più: nessun partito di quelli vecchi e detestati era mai arrivato a sperperare in modo così assurdo, fra incompetenze e clientelismi, il denaro pubblico; e il centro propulsore della “rivoluzione” basata sulla riproposizione in chiave cyber dell’ideale della “democrazia diretta”, già abbondantemente confutato dai pensatori liberali, intendo la “piattaforma Rousseau”, è stato sconfessato da coloro stessi che avrebbero dovuto (con una parte dei loro stipendi parlamentari) finanziarlo.

Il crollo dei consensi

Il fatto è che, nonostante il voto referendario fosse stato accortamente (e direi furbescamente) accorpato a quello regionale, la débacle sul territorio è stata totale. Ma d’altronde chi mai avrebbe potuto pensare il contrario, sol che si consideri che gli stessi pentastellati, consci di averne combinate al governo di tutti i colori e di essere elettoralmente in discesa libera, si son quasi vergognati di fare campagna elettorale, lasciando i malcapitati candidati da soli sul territorio a prendersi gli improperi degli italiani? In quanti  che avevano votato il Movimento per protesta la volta scorsa, ormai, scoperto il trucco e sentitesi traditi, hanno rivoltato contro come un boomerang il Vaffa a che ne aveva registrato i diritti?

I toni felpati e ipocriti della vigilia sono così tutti d’un tratto scomparsi: a un Di Maio che esulta per il referendum e glissa da vecchio e consumato politico democristiano sul resto, e che ha ormai attivato le sue lobbies tutte parlamentari per riprendersi il partito, Buffagni contesta con perfidia e sarcasmo i “selfie gaudenti”, dandogli del “narciso”. Di Battista, al contrario, impietoso calca la mano sui risultati e sulla “crisi identitaria”, attaccando senza troppe perifrasi chi (Di Maio appunto) rivorrebbe una leadership forte dimenticando che questa già la ha avuta col risultato di una “sconfitta epocale alle europee”. Fico, tutto pieno nel suo ruolo istituzionale, prova a mostrarsi al di sopra delle parti anche nella casa d’origine: stigmatizza “personalismi ed egocentrismi”, e tutti sanno a chi pensa.

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