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“Coronation”: un viaggio clandestino all’inferno nella Cina dei due morbi - Seconda parte

I più fortunati muoiono. E i loro parenti si devono mettere in fila anche per ritirare le loro ceneri che finiranno schiacciate e impacchettate in un’urna in stile orientale. L’ennesima agonia. D’altra parte, i morti sono tanti e lo Stato offre sconti sulla cremazione. “I morti dal numero tot al numero tot da questa parte, da numero tot a numero tot da quest’altra…”, ordinano alcuni burocrati. Una donna inizia un lamento disperato che sembra non finire mai. Si avverte che non piange solo per il tragico destino del suo caro ma anche per se stessa, per la sua misera condizione.

Qualcuno brucia le ceneri per le strade. Di quelle persone non rimarrà niente. Solo il nulla, l’unico epilogo di ogni tirannia. Mentre in Cina succedeva tutto questo e quasi nulla trapelava all’esterno, un po’ come nell’86 con Chernobyl, qui in Italia si discuteva di presunto razzismo nei confronti della comunità cinese. E poi, quando era già troppo tardi cosa hanno pensato bene di fare i nostri governi? Prendere addirittura la Cina come modello. Zone rosse, lockdown, coprifuoco, elicotteri della polizia che inseguivano chi osava mettere il becco fuori di casa…

Ecco, chi se la sente, guardi Coronation e si faccia un’idea del modello cinese grazie al quale oggi tutto il mondo si trova in questa situazione. Un viaggio di un paio d’ore all’inferno ma, per fortuna, con in mano anche il biglietto di ritorno. Ancor più istruttivo per chi pensa che la salute sia tutto e che in nome della sicurezza sia giusto comprimere ogni libertà.

L’inferno, però, – badate bene – non è poi tanto lontano. Anzi, forse è già qui.

Nicolò Petrali, 14 settembre 2021

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