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Coronavirus: (re)impariamo a convivere col pericolo

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La mia generazione non ha mai lontanamente immaginato di dover affrontare un problema così grave come quello che stiamo attraversando in questo momento. Chi di noi ha mai pensato di andare in guerra, affrontare carestie, o difenderci realisticamente da una esplosione nucleare? Nessuno. Eppure la storia parla chiaro.

Sguardo al passato

Appena 100 anni fa i nostri bisnonni combattevano la prima guerra mondiale, e i nostri nonni la seconda. E prima di loro i nostri bisavoli le guerre di Indipendenza, i nostri trisavoli il Risorgimento. E potremmo arrivare sino al Medioevo e alle guerre feudali, sino a risalire agli antichi romani. Qualunque generazione sia nata prima di noi, ha dovuto convivere con la paura della guerra. O delle grandi carestie. Che significa morire di fame, non so se rendo l’idea. Bere dalle pozzanghere e mangiare radici. Anche questo hanno fatto i nostri avi, per migliaia di anni.

Di più. Appena 80 anni fa si moriva di appendicite, e di millemila patologie batteriche finché arrivò l’antibiotico. E l’età media era di 48 anni, 130 anni fa. Che è l’altro ieri. Morivi di tetano se ti tagliavi, di malaria se ti pungeva una zanzara, di parto se il feto era podalico. La paura di morire credo abbia attanagliato tutte le generazioni, che fosse in guerra o per malattia. O per non so quante altre ragioni. Eppure. Eppure i nostri avi davvero erano così preoccupati?Andavano a dormire con la consapevolezza di una morte imminente? O di morire in guerra per difendere un Papa, un Re, o un Doge? No.

La convivenza con il pericolo era semplicemente un dato di fatto, lo status quo, era uno stato dell’animo a cui ci si abituava in fretta. Ed è stato così da sempre, finché non è apparsa la nostra generazione. Che, tra i tanti problemi del vivere comune, quella forma di paura non l’ha nemmeno respirata un nanosecondo. Siamo la generazione del benessere, e sarebbe anche il caso ce lo ricordassimo una volta per tutte. Siamo vissuti sino all’altro ieri pensando a dove andare in vacanza o che ristorante prenotare il sabato. E poi il Milan l’Inter e la Juventus, e Sanremo e il parrucchiere e l’estetista e la palestra e l’aperitivo e il tatuaggio e Ibiza e Formentera e se famo du spaghi. Che va benissimo. Però.

Terrore ingiustificato

Però oggi siamo chiamati ad una prova dura, durissima. Che, attenzione, avrebbe fatto sbellicare dalle risate le generazioni dei nostri avi di cui sopra…ma che rapportata alle nostre chiappe tremolanti dalla paura è certamente una prova importante. Che si chiama Coronavirus. La prima, e probabilmente unica piccola guerra che la nostra generazione dovrà combattere. Che, ad essere pessimisti quanto durerà? Beh, è iniziata a marzo, secondo i calcoli e le previsioni di vaccino ecc dovrebbe essere conclusa questa estate. Un annetto di Guerra. L’unica vera grande e tosta prova della nostra vita. Abbiamo due possibilità. Disperarci, perdere le testa e vivere negli incubi, come leggo continuamente sui social. Oppure.

Oppure restare coi piedi per terra, reagire, tenere duro, reggere l’urto, aiutarci, confortarci, mantenere ben stretta la barra. E andare avanti, con coraggio, e soprattutto dignità. Perché è anche quella che stiamo perdendo. Lo stato ci mette del suo e contribuisce non poco ad alimentare un clima di terrore. Tg che parlano di terapie intensive al collasso con immagini di pazienti con tracheotomia. Ma non si molla di un centimetro. Si guarda avanti, positivi, fronte alta e petto in fuori. Con le dovute cautele, ma con la testa ben salda sul collo. Che la partita che si sta giocando, se non l’avete capito, non è contro il Covid, di cui al 99.5% non morirete. Ma contro voi stessi, contro i vostri fantasmi, contro i vostri demoni, contro le vostre ataviche e antiche paure. Che questo virus ha solo fatto emergere. Che vi sta mettendo alla prova.

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