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“Così vogliono trasformare la Meloni in un Ogm”

Intervista di Nicola Porro a Marcello Veneziani. Dalla puntata di Quarta Repubblica del 31 ottobre 2022.

Nicola Porro: L’ultima volta che ti ho intervistato a Quarta Repubblica è stata per La cappa, libro di grande successo. Ora ne hai pubblicato uno nuovo dal titolo Scontenti. Non ci piace il mondo in cui viviamo. Parto, però, dal concetto del libro precedente: La Cappa. Quando è stato pubblicato?

Marcello Veneziani: È uscito lo scorso inverno.

Sono passati diversi mesi da quando poi il centrodestra ha vinto le elezioni…

Circa nove mesi, il tempo di una gestazione.

Una Cappa che è stata rotta con la vittoria della Meloni…

Fino a un certo punto. La Cappa si occupa di poteri che non sono solo politici, ma anche finanziari, economici, culturali, internazionali, militari, farmaceutici. Quell’assetto non è stato toccato e non sarà toccato.

Come non sarà toccato? La Meloni ha vinto. Ora ha tutti i suoi uomini: intellettuali, ministri…

Io mi sono fatto questa idea: il potere è un po’ come una matrioska. E la politica è la bambolina più piccola. Poi ci sono bambole più grandi che riguardano gli assetti internazionali, l’Europa, la Nato, la finanza. In questo quadro, il margine d’azione riguarda la politica, che è pur sempre un campo importante, significativo. Ma è solo parziale. La Cappa resta. Certo, alcune cose sono state perforate. Qualche buco si è aperto…

Be’, però arriva la Meloni e su Covid, contante e sicurezza rompe tre luoghi comuni dei precedenti governi…

Cose importanti. Posso dirti, però, che su altri tre punti il governo Meloni ha tenuto la continuità. Sul tema internazionale è convintamente alleato e allineato rispetto alla Nato. Sul piano europeo, è ormai totalmente allineata e alleata con l’Unione europea. Sul piano della continuità economica, infine, è nella linea di Draghi. A me sembra che alcune questioni non si possano discutere perché sono in realtà non negoziabili.

È un po’ la differenza tra l’intellettuale e il politico: l’intellettuale pensa al meglio, il politico al possibile…

Certo, il politico fa bene a pensare alla realtà, l’intellettuale fa bene a raccontare oltre la realtà quello che c’è nel campo delle possibilità.

Chi sono gli scontenti del tuo libro?

Siamo in una situazione paradossale perché il partito degli scontenti ha votato largamente la Meloni. Poi ci sono gli incontentabili cioè quelli che non sono andati a votare. Ma gli scontenti in gran parte hanno votato per la Meloni. Adesso si è creato un corto circuito perché il partito degli scontenti aspetta che la Meloni compia la sua azione per soddisfarli. Al tempo stesso, però, quelli che fino a ieri erano i conformi, cioè quelli allineati agli assetti di potere, sono scontenti perché c’è la Meloni al governo. Quindi c’è una scontentezza a sinistra appena diciamo formatasi e dall’altra parte c’è la storica scontentezza di un popolo…

Ma è una classe sociale quella degli scontenti?

Non appartiene a un ceto in particolare. Lo scontento è abbastanza trasversale. Credo che sia la maggioranza relativa del nostro Paese, a prescindere se abbia votato o meno Meloni. Insomma, sostengo che la scontentezza è il tratto dell’autobiografia collettiva del nostro Paese. Siamo un Paese che vive di questa scontentezza e io ho cercato anche di raccontare un po’la genealogia di questa condizione. A mio parere il vecchio potere – quello che conoscevamo nei secoli – era un potere che voleva un popolo se non contento, per lo meno rassegnato che si accontentava di quello che passava il convento; con il passare del tempo il nuovo potere ha cambiato direzione; non vuole il cittadino contento, lo vuole insoddisfatto perché l’insoddisfazione crea dipendenza. Quando sei insoddisfatto, hai bisogno di altre cose: vuoi cambiare, vuoi mutare città, condizione, sesso. Vuoi essere altro, hai tanti desideri che la pubblicità ingigantisce. C’è un potere, un grande potere – non solo in Italia, ma in Occidente – che lavora in qualche modo su questa incontentabilità. E la pilota.

Ma il potere non deve accontentare gli scontenti? Se, ad esempio, la Meloni non accontenta i suoi “scontenti” non verrà rieletta tra cinque anni…

Certo, ma il potere di cui ti sto parlando io cerca di spostare il malcontento dalla politica alla vita privata. Cerca di dire che le ragioni di insoddisfazione riguardano la tua vita, il tuo corpo, la tua persona. Cerca di spostare nel privato la diffusa scontentezza. Ecco, però, il cortocircuito fatto di emergenza covid, emergenza guerra, emergenza economia, emergenza ambiente, emergenza bollette, che fa saltare questo progetto di riconversione nella sfera privata. E così la scontentezza riprende ad avere un valore pubblico: passa, cioè dal privato al pubblico e diventa politica.

Mi ha colpito, nella prima conferenza della Meloni subito dopo la vittoria, la parte in cui parlò di “notte di riscatto” e la dedica alle tante persone che non ci sono più. Un messaggio agli “scontenti” di lungo tempo del mondo della destra…

Be’, io credo che in quel caso Giorgia Meloni non abbia parlato come leader di un partito di maggioranza, ma abbia parlato come il leader di una minoranza che viene da lontano. Ecco, lì è stata inevitabilmente nostalgica. Ma non nel senso corrente della parola. Nostalgia di quelle origini, quando era una minoranza inascoltata, quando le bandiere Tricolori erano scandalo da portare in piazza. È stato probabilmente quello il momento “eroico” a cui ha fatto riferimento Giorgia Meloni. In quel momento, si è tolta la giacca del presidente del Consiglio che rappresenta gli italiani e ha ricordato quando era segretaria del Fronte della gioventù, di Azione giovani. Quelli erano degli scontenti, ma al tempo stesso degli idealisti che combattevano nonostante tutto, nonostante avessero tutto contro e non avessero speranza di farcela

C’è quasi nostalgia di quegli anni difficili o no?

Secondo me è una nostalgia che riguarda soprattutto la gioventù, gli anni in cui si era giovani. In realtà, per citare Pasolini, “le belle bandiere furono ammainate”. Oggi si vive in un’altra dimensione e tutti ce ne rendiamo conto. Ogni tanto, però, questi amarcord fanno bene al cuore.

Nelle parole di La Russa sul 25 aprile c’è un tratto rappresentativo di quel mondo della destra di cui stiamo parlando?

Io credo di sì. In quel momento Ignazio La Russa era diciamo colui che veniva da una storia. Ma non solo. Credo che in quel momento rappresentasse metà, se non di più, degli italiani. Quell’Italia che non ha mai voluto partecipare attivamente alle manifestazioni del 25 aprile. Non perché avesse nostalgia del fascismo, ma perché non si riconosceva nelle bandiere rosse e in quel modo settario di rappresentarsi e di mantenere artificialmente in vita il fascismo. Soprattutto non riconosceva un valore politico alla polemica fascismo-antifascismo, convinta che il fascismo sia finito con la fine della guerra e con la morte di Mussolini.

Tu sei scontento?

Sono caratterialmente scontento del mio tempo, intimamente felice di vivere e aspiro ad essere beato.

Addirittura beato (risate)…

Non nel senso della Santità, ma nel senso di beatitudine.

I tuoi libri sono politici, influenzano la politica?

Credo che un po’ influenzino il pensiero e i comportamenti, ma non sono direttamente politici.

Fossi stato presidente del Consiglio, su quale ministero avresti puntato?

Avrei scelto di sicuro un ministero non strategico ma simbolico, di orientamento civile e culturale. Che è la ragione per cui non sarei mai un buon Presidente del Consiglio. Punterei sulla Pubblica istruzione, la cultura, tutto ciò che forma in qualche modo la visione di un Paese, il modo di rapportarsi alla realtà e di interpretare le cose. Ma questo non è propriamente politico: si tratta di un’altra dimensione.

In un recente articolo hai sostenuto che la Meloni rischia di diventare un ogm. Perché?

Più che altro credo sia un auspicio dei poteri. Fino all’altro ieri, la Meloni è stata apprezzata per la sua coerenza; da qualche tempo, invece, viene sollecitata a trasformarsi. Vogliono una Meloni geneticamente modificata, che garantisca la continuità con gli assetti precedenti e sovrastanti. Credo che questo sia un pericolo per lei, che si trova un po’ in mezzo tra la pressione dell’elettorato degli scontenti e il realismo politico che la porta, comunque, ad accordarsi con l’establishment.

Questo confronto con l’establishment smorza la sua forza, no?

Eh sì, è difficile andare in piazza a gridare e poi tornare a trattare con i poteri.

Però inevitabile…

Credo si debba trovare poi una via di mezzo: bisogna essere audaci e prudenti. La sua capacità dev’essere quella di alternare queste due forze ma il talento è capire quando è il momento per la prudenza e quando per l’audacia.

Nel tuo libro citi Paolo Villaggio, che era un comunista…

Paolo Villaggio è stato, secondo me, il Marx della nostra epoca. Nel senso che ha rappresentato gli scontenti della nostra epoca.

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