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Crisanti si converte al terrorismo virale

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Dottor Crisanti è un genetista e microbiologo di Padova, assai stimato e con ragione: è principalmente lui l’artefice del metodo che ha salvato il Veneto, e il suo governatore, da guai peggiori conseguenti al coronavirus; disattendendo i confusi, velleitari orientamenti governativi per concentrarsi subito su uno screening a tappeto fatto di tamponi tamponi tamponi. Salvato il Veneto, evviva dottor Crisanti, diventato il simbolo gentile, mitemente sfinito, dell’attendibilità scientifica, della sagacia tempistica, di un decisionismo magari eretico, pure contro l’Oms, ma, come nelle più belle favole, capace di raggiungere un lieto fine, seppur relativo. Senonché, a un certo punto, dottor Crisanti si è trasformato in Mr Hyde: quando tutti si aspettavano identica prudenza, il solito tratto rassicurante, bonario, sdrammatizzante circa la fantomatica seconda ondata, il medico ha preso via via ad assumere un contegno sempre più preoccupato, ansioso, ansiogeno spiazzando tutti a cominciare da Zaia, che difatti ci ha attaccato quasi subito baruffa chiozzotta.

Crisanti muta in Cassandra, ogni giorno la sua pena in forma di allarme: occhio, i contagi risalgono, attenti, i numeri dimostrano, pericolo, c’è la sottostima della realtà, dannazione, siamo ai livelli di marzo, anatema, i comportamenti non vanno bene, mamma mia, la movida è scriteriata, sapevatelo, la chiusura è una possibilità. Ma che è successo? A pensar male si fa peccato ma ci si indovina, diceva Andreotti che era malevolo ma saggio; noi non siamo Andreotti, non pensiamo male e ci limitiamo a mettere in fila gli eventi. Che sono i seguenti: Dr Crisanti ha cambiato registro, sicuramente per fondate ragioni scientifiche; ha cominciato ad avallare letture preoccupanti; è stato arruolato nel team di governo come consulente; e che a questo punto Mr Hyde è diventato uno dei più ortodossi difensori del catastrofismo virale.

Il fatto, in prospettiva squisitamente tecnica, è che Crisanti tende, comprensibilmente, ad allargare la strategia dei tamponi, vincente in Veneto a suo tempo, a tutto il paese e ad ogni situazione. Quindi insiste, più tamponi per tutti: “I contagi sono gli stessi di marzo, ma allora erano solo la punta dell’iceberg. Dobbiamo portare i test a 400 mila al giorno. Più persone si incontrano e più aumenta la probabilità di infettarsi”. E ancora: “Ogni bambino positivo genera la necessità di fare 100-150 tamponi”. Di più, ultima esternazione fresca fresca: “Le mascherine vanno portate anche al banco”, perché i ragazzini parlano, quindi potenzialmente infettano. Ma non tutti la pensano come lui, e anche questo è normale. Il più possibilista, e rilassante, Matteo Bassetti, infettivologo, direttore di Malattie Infettive al San Martino di Genova, non si stanca di placare le fobie. E osserva che un uso indiscriminato di tamponi non solo non serve, ma sarebbe persino impossibile. “Al ritmo di 300 mila tamponi al giorno, in 6 mesi avremmo testato l’intera popolazione italiana. Non serve, sia perché l’esito potrebbe mutare nell’arco di pochi giorni o ore, in caso di contatto con un infetto, sia perché ci pone di fronte a un dilemma: se fossimo tutti positivi, anche gli asintomatici, dovremmo chiudere tutto? Se avessimo il 3-4% della popolazione italiana positiva cosa faremmo? Non ha senso: con questo virus si deve convivere, non esserne terrorizzati”. Rincara Bassetti, dritto al punto: Il modello di Vo’ Euganeo non è estendibile all’intero Paese. In quel caso si è isolato e testato un paese di 3 mila anime, meno di coloro che lavorano all’ospedale San Martino di Genova. Senza contare le ricadute in termini di costi immediati per eseguire i tamponi e di lungo periodo su un’economia già in ginocchio”.

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