Esteri

Il caso Archie

“Curiamo Archie in Italia”. Ma i giudici fanno staccare la spina

La vita di Archie rimaneva appesa alla pronuncia della Cedu. La Corte si è dichiarata incompetente ed ora i medici potranno staccare la spina

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Avete presente lo Stato etico, teorizzato pochi secoli fa dal filosofo tedesco Hegel? Nella sua filosofia idealista, il pensatore intendeva l’autorità statale come il fine supremo di tutte le cose, il decisore ultimo delle questioni tra individui, l’unica struttura capace di detenere l’arbitrio assoluto. Ecco, seppur a qualche socialista nostrano possa piacere questa espressione, succede che Hegel rimane estremamente attuale pure nel Paese precursore del liberalismo: il Regno Unito.

Il Caso Archie

Stiamo parlando, ovviamente, della tragica vicenda del dodicenne Archie Battersbee, trovato in coma dalla madre ad aprile, disteso a terra con una corda intorno alla testa, probabilmente per un gioco sui social finito in disgrazia. Ecco, per i medici occorreva staccare la spina, proprio perché il bambino si trovava in stato di morte celebrale. E voi direte: “Beh, si tratta comunque di un parare professionale, totalmente estraneo dalle scelte che faranno i genitori di Archie”. E invece no: i giudici britannici, in ultima istanza, nonostante la volontà della famiglia di mantenere il figlio in vita, si sono pronunciati a favore della fine del sostegno vitale ad Archie. La giustificazione della Corte? “Risulta essere nel suo migliore interesse”.

Esatto. Anche nel Paese più liberale del mondo, il potere giudiziario si arroga il diritto di decidere cosa sia o non sia nell’interesse del piccolo e della sua famiglia. Proprio come nella teoria hegeliana, la scelta è totalmente alienata dal singolo e consegnata ad un gruppo esiguo di persone, addirittura con la facoltà di decidere chi può e chi non può sopravvivere.

La famiglia contro lo Stato

Ma la madre del giovane inglese non ha voluto mollare, fino alla fine. L’ultimo atto estremo della famiglia sarebbe stato quello di portarlo all’estero, o in Giappone o in Italia, dove alcuni medici si offrirono per curare il ragazzino con “alte percentuali di successo”. L’ostacolo, però, è sempre stata la legislazione britannica, visto che i giudici hanno continuamente sostenuto l’inapplicabilità, nell’ordinamento interno, della Carta dei Diritti del Comitato della Nazioni Unite.

Nel frattempo, in un altro intervento disperato, gli avvocati della famiglia hanno presentato ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo (Cedu) alle 9 di ieri mattina, due ore prima della sospensione delle cure, indetta dai medici del Barts Health Nhs Trust di Londra. La vita del piccolo Archie rimaneva appesa ad un filo, tra Tokyo e Roma, ad una decisione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tutto ciò almeno fino a ieri sera, visto che la Corte si è espressa, dichiarando la propria incompetenza sul caso, e quindi sancendo la validità della pronuncia dei giudici britannici.

La scelta era duplice: o lo Stato, o la famiglia. Da una parte, un potere autoritario, che staccherà la spina ad un bambino, senza il consenso familiare, e che avrebbe potuto trovare una via di salvezza in un altro Paese. Dall’altra, l’amore di un padre e di una madre per il loro unico figlio, barbaricamente ucciso. Anche lo Stato ha le mani sporche di sangue.

Matteo Milanesi, 3 agosto 2022

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