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Di Maio, il digitale e la prova tecnica d’inciucio Pd-M5s

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Anche sul digitale c’è caos nel governo gialloverde. A insaputa di Mattarella e Conte nasce il Ministro per il digitale. Nella perenne lotta mediatica con Matteo Salvini, consacrato star mondiale da Time,  non poteva che autonominarsi Luigi Di Maio, convinto che il suo Ministero dello Sviluppo economico coincida con la funzione anche di digitalizzazione perché, come ha scoperto, “senza digitale non c’è sviluppo”. Il vicepremier lo ha detto con la solita supponenza a DigithON, la manifestazione organizzata da Francesco Boccia, in odore di segreteria, e vista come prova tecnica d’inciucio tra PD e M5S. Incurante degli esempi stranieri, dagli Emirati Arabi con il Ministro per l’intelligenza artificiale, alla Svezia con il Ministro del Futuro, alla Francia con il Ministro dell’Innovazione, Giggino annuncia di voler spedire un responsabile per la digitalizzazione in ogni Ministero, cosa che i suoi colleghi per ora ignorano.

Chissà se ne ha parlato almeno con Giulia Bongiorno, ministro della Funzione Pubblica che proprio qualche giorno fa ha nominato Teresa Alvaro direttore generale dell’Agid che dovrà interfacciarsi con il team dell’Agenda digitale di Dario Piacentini, in scadenza e forse presto rottamato. A Di Maio l’idea gli viene da Taiwan, dove nel governo è entrato l’hacker transgender Audrey Tang. Ma quello che non sa è che l’esempio di Taiwan può trasformarsi in un clamoroso autogol per il M5Stelle. I grillini hanno fatto del digitale la loro bandiera, però ad uso esclusivo dei propri interessi, solo quando c’è da far avallare dalla loro piattaforma un Carneade identificato da tempo. Come Conte a Palazzo Chigi o Salini in Rai. In tutto il mondo invece, la missione degli attivisti della Rete si sviluppa per organizzare democraticamente la digitalizzazione dei sistemi del Governo, attraverso una piattaforma realmente “open” a cui possono accedere tutti i cittadini per dire la loro sulle leggi, prima che vengano approvate. Esattamente il contrario della filosofia a base della misteriosa piattaforma Rousseau di Casaleggio, aperta solo agli “amici”.

A Taiwan si sperimenta l’Open Government e la sua piattaforma può essere riprodotta in tutto il mondo, da noi invece quella settaria di Casaleggio è solo un piccolo passo avanti rispetto alla media dei partiti e dei politici italiani. Pochi giorni fa la zarina renziana Maria Elena Boschi ha tuonato: “il Pd ha perso per colpa dei socialnetwork e delle fake news”. Solo il guru Roberto D’Agostino le ha fatto notare che è come se Rocco Siffredi accusasse il porno. Al Pd non si sono ancora resi conto che spendere cifre folli in consulenti come Jim Messina e Simona Ercolani, senza essersi mai preoccupati di avere utenti profilati sulla scia di Obama prima e Trump poi, è come avere uno chef con il frigo vuoto.

I media italiani, tranne la trasmissione Codice di Raiuno, mandata a notte fonda per la gioia dei nerd, e “Nova” del Sole 24 Ore, non ce la fanno proprio ad essere al passo con l’era di internet. Se poi Di Maio pensa anche di chiedere ai siti di e-commerce di fare un passo indietro e “chiudere” i portali la domenica, insieme alle porte dei negozi, il ritorno all’era analogica è assicurato. Come Casaleggio Jr sta capendo, il passo indietro sarà guidato proprio dall’unico partito che web e social hanno fatto arrivare al governo. Di Maio, oltre alla geografia, dovrà imparare cosa siano le politiche digitali.

Luigi Bisignani, 16 settembre 2018

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