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Di Maio-Salvini, dialogo a colpi di parolacce

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La campagna elettorale infinita, finanziata dagli italiani nell’anno I dell’era del Cambiamento, passa sotto lo striscione dell’ultimo chilometro di un’altra tappa del Giro d’Italia: le europee senza Europa. Domenica sapremo finalmente quanti voti avrà il Capitano e quanti voti avrà l’Illuminato. Tuttavia la domanda decisiva, formulata direttamente dalle tasche sempre degli italiani, non è quanto consenso avranno, ma cosa ne faranno. Fino ad oggi il Capitano e l’Illuminato lo hanno usato solo prima per amarsi e poi per armarsi l’uno contro l’altro.

A volte i dialoghetti e gli insulti tra il ministro degli immigrati e il ministro del sottosviluppo sono proprio illuminanti.

Matteo: “Abolire il reato d’abuso d’ufficio? Sì. Abbiamo paura di firmare gli atti”.

Luigi: “Abolire l’abuso d’ufficio? Il governo va avanti ma più lavoro e meno stronzate”.

Ora, come si può capire, il reato che va abolito, e per farlo non serve una legge, è il reato di abuso della pazienza degli italiani. Perché, soprattutto per l’extra-comunitario Salvini, proprio questo è il punto: il consenso sale, le aspettative crescono, ma i risultati non si vedono. L’esperienza, la storia e la cronaca ci dicono che ci sono, al riguardo, precedenti chiari e pericolosi. Fino a quando l’elettorato leghista, che è quello che tira la carretta Italia, potrà ancora aver pazienza? Capitano avvisato mezzo salvato.

A proposito di stronzate e di abolizioni. Ma Di Maio, illuminato da una conoscenza superiore, ha abolito la povertà? L’ha aumentata. Qualunque sia il giudizio sul governo Conte, è evidente che i conti tornano solo in peggio: il governo dei nazionalsocialisti ha preso in consegna l’azienda-Italia un anno fa e ne ha aumentato i debiti che dovranno essere pagati con il gioco delle tre carte: patrimoniale, Iva, deficit.

Il voto europeo di domenica è l’inizio della fine. Ciò che finirà sarà quella che Giuseppe Marotta chiamava l’oro di Napoli: la pazienza.

Concludo con un altro dialogo che rubo a Ennio Flaiano e Federico Fellini. È davvero illuminante e lo riadatto per l’occasione. Si incontrano davanti a un bar di Roma un populista e il popolo.

Populista: “Oh, a Po’’”.

Popolo: “Che vvòi?”.

Populista: “Vàttela a pjà ‘nder culo”.

Pausa

Populista. “A Po’, no, stavo a penzà ‘na cosa”.

Popolo: “Cosa?”.

Populista: “Perché non te la vai a pjà ‘nder culo?”.

Nuova pausa

Populista: “Lo sai chi t’ho incontrato, ieri? Moccoletto. E sai che m’ha detto?!”.

Popolo: “No!?”.

Populista: “M’ha detto che te la devi andà a pjà ‘nder culo!”.

La morale del dialoghetto è chiara: fino a quando il populista potrà abusare della pazienza del popolo che prende per il culo?

Giancristiano Desiderio, 24 maggio 2019

 

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