Cronaca

“Dovevamo salvare le nutrie”. La folle verità dietro l’alluvione

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Se vogliamo, prendiamocela solo col “cambiamento climatico”, con le emissioni cosiddette “climalteranti”, con gli effetti antropici e se vogliamo anche con la scomparsa delle mezze stagioni. Il punto è che l’alluvione che ha piegato la Romagna ha ucciso 14 persone e provocato danni ingenti, non solo perché si è abbattuto sull’area un acquazzone da 300 millilitri di pioggia in poche ore, ma anche perché – per un motivo o per un altro – il territorio non era “pronto” a evitare che i fiumi tracimassero e le strade crollassero.

La più incredibile di queste cause riguarda la città di Ravenna. E tira in ballo le nutrie. Il sindaco Michele De Pascale lo ha spiegato per filo e per segno: “Si sono dette tante stupidaggini in questi giorni – ha esordito il primo cittadino nell’intervista con Nicola Porro – È stato attribuito questo alluvione al consumo di territorio e altre cose. Ma la pioggia ha colpito una zona che naturalmente era una palude. Il territorio intorno a Ravenna è di valle che aveva come esternalità come malaria. I nostri bisnonni hanno bonificato tutto: hanno sottratto queste zone all’acqua e alla malaria e hanno creato quelle straordinarie eccellenze che conosciamo”. Il sistema idrovoro fino a qualche anno fa ha retto. Ora, a causa di alcune criticità, qualcosa è venuto meno.

Per approfondire

Da una parte, magari ci sarà pure l’aumento degli eventi climatici avversi. Ma dall’altra ci sono folli scelte “di priorità per quanto riguarda la manutenzione”: negli ultimi anni l’attenzione, degli animalisti ma non solo, si è concentrata sulle nutrie che popolano i fiumi anziché sulla necessità di realizzare delle opere necessarie ad evitare disastri come quelli odierni. “Tra una vita umana e una nutria che mi fa una tana su un argine”, ragiona il sindaco De Pascale, la scelta dovrebbe essere chiara. Lo stesso dicasi per la vegetazione attorno al letto del fiume, che naturale proprio non è visto che gli argini sono stati creati dall’uomo. “In natura i fiumi esondano – spiega il sindaco – se non si vuole che accada, allora bisogna fare gli argini con la logica delle opere pubbliche e non con la logica degli spazi naturalistici”. Tradotto: se per pulire un fiume occorre abbattere qualche albero e uccidere qualche nutria, che si faccia. E invece oggi le norme “tutelano più gli alberi e le nutrie che le persone”.

Il paradosso è che a salvare “per miracolo” la città di Ravenna sono state tutte opere ingegneristiche di decine, se non centinaia di anni fa. Il merito lo si deve “alla bonifica di fine ‘800, ad un fiume realizzato a fine del ‘700 dal cardinale Andreoni e ad un progetto di Napoleone”. Negli ultimi 50 anni niente: le istituzioni hanno latitato. “Quelle opere del passato hanno difeso questa terra delicata”, oggi invece nulla. Per questo De Pascale chiede “i poteri e le risorse per realizzare opere all’altezza” di aventi, la cui “asticella” è stata alzata “dai cambiamenti climatici”. E magari anche l’autorizzazione ad eliminare qualche nutria.

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