Draghi abbandoni la strategia della paura

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È passato un anno dall’inizio dell’epidemia da Covid-19 e giornali, telegiornali, trasmissioni varie hanno ricordato e addirittura celebrato il compleanno. Nessuno, però, ha posto la domanda più naturale e banale: come mai dopo un anno siamo ancora al punto di partenza?

Stato d’emergenza permanente

Infatti, dopo circa 100 mila morti, un lockdown evidente, un lockdown mascherato, chiusura della scuola, coprifuoco e – come diceva lo slogan di una vecchia televisione: Odeon – tutto quanto fa spettacolo, siamo ancora alle prese con la “terza ondata” e con la soluzione di sempre: chiudi le scuole, non aprire i ristoranti, coprifuoco. Come se un anno fosse passato invano. Ed è passato invano se siamo, come siamo, attaccati all’illusoria speranza della vaccinazione di massa senza vaccini. Siamo ancora nel bel mezzo di uno stato di emergenza che dura da oltre un anno. Ma un’emergenza che dura da un anno non è più emergenza: è la normalità.

Siamo continuamente in uno stato di eccezione ma, anche qui, uno stato d’eccezione che dura da oltre un anno non è un’eccezione: è la regola. Mi sovviene quel che diceva un economista di tanto tempo fa, quel Maffeo Pantaleoni che in modo apparentemente sferzante osservava che a governare aumentando sempre le tasse son capaci tutti mentre l’arte del governo consiste proprio nel garantire i servizi senza ricorrere alla leva fiscale. E qui è la stessa cosa: a governare l’epidemia chiudendo sempre tutto son capaci tutti, mentre il controllo dell’epidemia esige che ci siano insieme sicurezza e libertà, ordine e diritti.

Depressione economica e sociale

Il caso italiano – e, in verità, il caso europeo –, però, non ricade nemmeno in questa tipologia ma in una terza più disastrosa: quella del danno e della beffa. Difatti, dopo un anno di chiusure, pratiche e culturali, non abbiamo ottenuto alcun risultato tranne uno: la depressione economica e sociale dell’Italia. Dunque, non sarà il caso di cambiare finalmente strada? Il nuovo governo Draghi si è sobbarcato un’eredità disastrosa. Ne siamo consapevoli. Tuttavia, non possiamo sempre giustificare l’immobilismo del presente con le irresponsabilità del passato. Pur considerando, come è giusto fare, i limiti della situazione è necessario prendere atto che il dovere del governo è mettere in chiaro che l’epidemia da Covid-19 produce un problema di amministrazione sanitaria e dopo, solo dopo, un problema di ordine clinico. È compito del governo, quindi, ristabilire l’ordine dei fattori che, almeno per una volta, se invertito muta radicalmente il risultato.

Cultura statalista, morte della libertà

L’idea di usare la paura come leva politica ed elevarla addirittura a strumento di governo al fine di controllare la società e impedire il sovraffollamento negli ospedali e nelle terapie intensive va abbandonata per due motivi lampanti: non produce risultati e non è più temporalmente e materialmente sostenibile. Per impedire che l’infezione e gli infetti arrivino in ospedale serve il filtro della medicina di base organizzata sul territorio. Si dirà che la medicina di base non si crea dall’oggi al domani. Ma un anno di tempo non è l’oggi e il domani. Conviene, semmai si sia iniziato, accelerare su questo punto. Per questo il cambio del vertice del ministero era necessario: per cambiare politica non si può non cambiare il ministro.

Se si fa questo passo crolla l’ossessione di dover chiudere tutto per controllare tutto. Non deve essere un caso che i paesi che hanno una maggiore e più pesante tradizione statalista – in pratica, l’Europa continentale – sono anche gli Stati che hanno le maggiori difficoltà a imboccare la via di uscita dal tunnel. La cultura statalista crea l’idea di un iper-governo della società alla quale, però, non corrispondono successi ma insuccessi. L’ordine degli studi del nostro tempo vuole che le scienze sociali e perfino le mediche si applichino alla società ma si tratta di una presunzione fatale che da un lato ammazza le libertà individuali e dall’altra non garantisce la sicurezza. Con il risultato che ci siamo incamminati sulla via della schiavitù, volontaria e imposta.

Governare tutto equivale a non governare nulla. Perché il governo totale è inesistente e produce solo immobilismo sociale e depressione economica. Erano queste le due armi usate dai partiti che volevano imporre un regime totalitario. Perciò vanno recuperate la mobilità sociale e la crescita economica: non solo un ostacolo né per la sanità né per la salute ma, al contrario, sono centrali proprio per reagire all’epidemia. Il futuro dell’Italia non è nelle chiusure ma nelle aperture. Mario Draghi lo dica con chiarezza. Senza apertura culturale e materiale, nessun Recovery salverà il Paese.

Giancristiano Desiderio, 28 febbraio 2021

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