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Draghi frega l’Ue e compra aerei spia dagli Usa

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È tempo di space invaders. Presto, un’infinità di trojan e di radar conquisteranno i cieli italiani per spiarci. È questo il primo banco di prova per il neosottosegretario alla Sicurezza Franco Gabrielli: una commessa aeronautica monstre del valore di circa 4 miliardi di euro assegnata agli Usa. Quasi quanto quelli necessari a realizzare la Napoli-Bari oppure il ponte sullo stretto di Messina. Da quando è stato chiamato da Draghi, il super poliziotto Gabrielli cerca di capire i vantaggi effettivi, per l’intelligence o per l’industria italiana, nell’acquisto, da parte della nostra Aeronautica, di 8 super aerei Usa JAMMS dotati di apparecchiature speciali per intercettare e carpire ogni singolo segnale o movimento. E soprattutto, quale potenza mondiale si avvantaggerà, sul piano dell’intelligence, di tutti questi miliardi di big data carpiti dai cieli, visto che sinora i vertici dei nostri servizi di sicurezza, dal Dis di Vecchione all’Aise di Garavelli e l’Aisi di Parente, non sono stati neppure coinvolti.

Perché snobbano il made in Italy

È da diversi anni ormai che la nostra Arma Azzurra ammicca all’industria della difesa Usa e, in parte, con quella israeliana, snobbando le eccellenti aziende italiane fornitrici delle attrezzature tecnico-scientifiche di bordo che, peraltro, danno lavoro a migliaia di persone. Ciò non avviene, come si dice, per colpa di una sentenza, ancora certamente appellabile, che parla di “spiccate capacità a delinquere” dell’Ad di Leonardo, Alessandro Profumo il quale, per motivi reputazionali e non legali, rischia di estromettere dalle grandi commesse, nell’attesa dei lunghi tempi della giustizia italiana, il decimo Gruppo di difesa più grande al mondo.

La verità è che una lunga tradizione lega la maggior parte dei vertici italiani dell’Aeronautica ai colossi della difesa Usa, dalla Lockheed Martin alla L3Harrys, per una ragione elementare: quasi tutti i nostri piloti a tre o quattro stelle si sono formati negli States, presso le varie basi aeree da Laughlin (Texas) a Holloman (New Mexico). Dallo zio Sam hanno ricevuto il battesimo e a quel mondo di top gun sono sempre rimasti filialmente legati, a differenza, ad esempio, degli ammiragli italiani che, pur girando tutti i porti del mondo, hanno invece contribuito a far diventare un vero gioiello la cantieristica italiana, aiutando la Fincantieri di Giuseppe Bono, prima nelle navi militari e poi in quelle da crociera, a valorizzare sia la tecnologia che il design “made in Italy”. Tra i nomi di questi piloti “made in Usa”, quello di Alberto Rosso, pupillo di Enzo Vecciarelli, Capo di Stato Maggiore della Difesa, che sgomita, con l’aiuto dell’eterno generale Mosca Moschin, per andare a fare il consigliere militare di Draghi.

Obbligo di far lavorare aziende italiane?

Ma ad aprire gli occhi, oltre a Gabrielli, ora ci sono anche due ministri: Giancarlo Giorgetti e Lorenzo Guerini, con quest’ultimo che finalmente vuole dimostrare autonomia dal suo Stato Maggiore e imporre contrattualmente agli Usa l’obbligo, per almeno il 50 per cento, di far lavorare all’interno dei velivoli le aziende italiane, da Avio ad Alenia, da Elettronica ad Oto Melara e non solo quindi americani e israeliani. I tempi però sono strettissimi perché tutte le commissioni preposte e perfino la Corte dei Conti, stanno rilasciando pareri positivi a raffica. Per di più questa commessa, così com’è, non sarebbe nemmeno coerente con il Recovery Fund né con il Defence Fund, che impone l’utilizzo di risorse militari per l’industria europea.

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