Rassegna Stampa del Cameo

Quel banchiere svizzero che preferisce Di Maio a Macron

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Prima cena del 2019 con XY, l’ormai noto ai miei lettori economista-banchiere svizzero dal quale cerco di succhiare competenze economiche per farmi un’idea di come potrebbe andare il mondo occidentale nei prossimi anni. Oltre che essere un amico vero, mi piace perché da economista super certificato considera la “sua” economia non una scienza ma “un mix di teorie, tesi, viscere, chiacchiere, vacuità”, esattamente come faccio io con il “mio” management. Il gelido vento che increspa il Ceresio ci ha consigliato un risotto al vino rosso e luganichetta (il riso è il cibo perfetto per parlare mentre si mangia).

Mi spiazza perché nel nostro ultimo incontro era stato molto critico sulla pochezza del pensiero economico dei giallo verdi nostrani. Ora invece sta sposando la tesi presente, mi dice, nella fascia alta delle élite svizzere e mondialiste, che vede positivamente l’ascesa al potere dei due “gilet giallo verdi” (così chiama Luigi Di Maio e Matteo Salvini), come male minore. “Il vero pericolo per noi élite”, dice, “sono i gilet gialli francesi perché possono far saltare il banco”. Lui da radicale liberale, nell’accezione svizzera, auspica le dimissioni di Emmanuel Macron dopo le elezioni europee. Dice “E’ psicologicamente bollito, per noi è bruciato. Meglio avere i gilet colorati al potere come in Italia che nelle piazze come in Francia e presto altrove, non sappiamo come va a finire”. Cinismo puro direte, certo, come si conviene a un banchiere intellettualmente raffinato.

Il 2019? Si parte in salita stante la contrazione di Cina, Giappone, Germania. La grande maggioranza degli economisti di regime lo considera un fenomeno passeggero che avrà un’incidenza marginale sulla crescita di qualche punto decimale. XY come ovvio lo auspica, ma non ne è certo. “Se si trattasse di un’economia che rallenta nel pieno di un ciclo tradizionale sarebbe così, ma qui siamo in presenza di un ciclo di ripresa fragile, e per di più dopato da politiche monetarie straordinarie delle Banche centrali”. Secondo lui è colpa di quelli al potere è stata di non perseguire una generosa politica di distribuzione dei redditi, creando così le condizioni per la nascita dei gilet multicolore in alcuni paesi e i successi elettorali dei partiti cosiddetti populisti e sovranisti.

“Gli italiani hanno preferito, saggiamente, portare i gilet al potere e oggi l’Italia è un paese più affidabile, perché le due forze antisistema sono costrette a governare insieme, con reciproci compromessi, nell’interesse del Nord e del Sud del paese. Trovo politicamente divertente poi come operano: fanno, a turno, e in contemporanea, maggioranza e opposizione, spiazzando Pd e Fi”. Aggiungo io, qualche sabato fa a Torino ero in piazza Castello, i leghisti erano facili da individuare, erano i soli vestiti da populisti. Così hanno sgonfiato il giochino pavonesco delle madamin, le quali confondevano la  piazza con il foyer del Teatro Regio.

Conclude XY: “I gialli verdi saranno forse poco colti e ineleganti ma perfettamente idonei per mantenere la pace sociale sotto i livelli di guardia. Per noi banchieri questo è il solo aspetto che conta. E auguriamoci che restino per l’intera legislatura, d’altra parte non ci sono alternative credibili”.

Mi associo. A livello europeo, la situazione è sostanzialmente quella di 10 anni fa, perché la riduzione della disoccupazione non ha dato origine a un aumento significativo dei salari, senza i quali non c’è alcuna crescita sana e duratura. Mi conforta nella mia idea, non sorretta da alcun pensiero profondo o dottrina ma da banale praticità: quando una classe dominante fallisce deve essere mandata (tutta) a casa (sia pure ai Caraibi come a loro compete per status e censo) e così il modello politico, economico, culturale che è stato alla base di questo disastro, annunciato dalla parte migliore delle élite stesse in tempi non sospetti. Nelle aziende sane si fa, così e funziona.

Finalmente possiamo dirlo, 10 anni buttati per seguire le seghe mentali di individui a fine corsa. Peccato.

Riccardo Ruggeri, 25 gennaio 2019

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