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Come sarà la banca del futuro

Ritornare sul territorio come i vecchi direttori

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La domanda è semplice da porsi quanto complessa ed articolata potrebbe essere la risposta: in un ecosistema finanziario in cui challenger e neo banks sono sempre più numerose e competitive, è possibile per un sistema economico prosperare senza un sistema bancario legato al territorio, e quest’ultimo può essere veramente competitivo senza un reale radicamento col tessuto socio-economico cui presta servizio?

Suddividere in maniera netta i due approcci, quello all digital e quello tradizionale, è pressoché impossibile. La globalizzazione sarà sempre frutto di contaminazioni e “invasioni di campo” tra i diversi ambiti, tuttavia, immaginare che per la salute del tessuto bancario italiano sia necessario un certo ritorno ai territori (grandi o piccoli che siano) non è né un passo indietro né una manifestazione di inferiorità ma un investimento nelle migliori potenzialità.

Facciamo un esempio per capire meglio di cosa stiamo parlando. Di recente, la mobile bank N26 ha chiuso un round di finanziamento di 900 milioni di dollari: ciò ha accresciuto notevolmente il suo valore facendone la più importante fintech tedesca, una delle migliori venti al mondo e, in generale, la seconda banca di Germania scavalcando la storica (fondata nel 1870) Commerzbank.

Esempi simili a questo (ma spesso diversi per entità) sono riscontrabili anche per Revolut, Monzo, Monese e anche nei soggetti italiani come Hype e Illimity. E’ evidente che gli operatori fintech siano in forte ascesa e che la loro capacità di attrarre clienti e finanziamenti goda sostanzialmente del beneficio di un circolo virtuoso, e di una ormai consolidata credibilità, che fungono da moltiplicatore.

Allo stesso modo, è evidente anche che per gli operatori che consideriamo tradizionali, e soprattutto per quelli di media dimensione, non sia possibile competere nel lungo periodo con un modello di business che viaggia a velocità superiore. La forbice tra queste due realtà è destinata ad allargarsi ulteriormente e la soluzione può essere solo quella della differenziazione (almeno parziale) “dell’audience” di riferimento.

Per alcuni, la soluzione sarà quella dell’aggregazione, tra di loro, o aderendo ad un gruppo più ampio, ma vi è anche una terza via (cui possono fare ricorso anche i sodalizi più grandi), quella di mettere i territori al centro dei servizi, chiaramente più innovativi, efficienti e digitalizzati di prima, ma uniti da una comune identità, mescolando ciò che offrono le nuove tecnologie con una relazione più diretta e vicina (in tutti i sensi)  ai clienti.

Il nuovo modello potrebbe essere quindi più digitale e sistemico di quello attuale, ed essenzialmente ispirato ai principi della sostenibilità, dell’etica, dell’ESG e della solidarietà, con un forte orientamento alla soddisfazione del cliente che è però qualcosa di più di un semplice algoritmo.

In definitiva, forse, il modello della banca del futuro potrebbe essere un po’ più simile a quella del passato, meno speculativa e più orientata al cliente, fatta veramente di donne e di uomini che supportano cittadini e imprese con a loro disposizione le migliori tecnologie che garantiscono sicurezza, efficienza e customer service.

In un momento storico in cui le filiali si stanno sostanzialmente spopolando, oggi potrebbero avere l’occasione per tornare ad essere nuovamente al centro della strategia globale di sviluppo e resilienza ponendo al loro fianco migliaia di piccole e medie imprese strettamente legate ai territori.

Pertanto, nell’ambito di un ripensamento globale non solo dei servizi ma anche del ruolo effettivo delle persone e del luogo di lavoro, sarà opportuno anche avviare dei programmi di riqualificazione e conversione professionale. Si tratta di un approccio innovativo anche al mondo del lavoro in grado di dare “una seconda vita professionale” a centinaia di bravi professionisti restituendo loro una parte attiva non solo nel processo di crescita delle imprese ma anche in quello del Sistema Paese a partire dai territori.

Innovare, quindi, non significa sempre cestinare il passato, ma più spesso riguarda fare tesoro delle buone esperienze precedenti che possono essere anche preziose per approcciare meglio il futuro.

 

Maurizio Pimpinella

 

 

 

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