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Ennio Doris. Un messaggio semplice, ma forte da cambiare il mondo

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Ennio Doris. Un messaggio semplice, ma tanto forte da cambiare il mondo.

Con questa frase avevo chiuso nello scrigno di alcune parole messe l’una dietro l’altra, l’emozione generata dagli effetti di quella stessa notte di un anno fa.

E scrivevo che in momenti come quello, ma anche in questi contesti di estrema confusione emotiva, mille ricordi, mille immagini si rincorrono. Ogni tanto si fermano sul suo volto che scruta l’orizzonte, su quello sguardo capace di leggere ogni linea sottile che lo compone, come solo i grandi sanno fare, e si fissa forte anche in noi che abbiamo avuto la fortuna di essergli vicini per tanto tempo, anche quella notte…

A volte la vita è strana. C’è qualcosa che è lì sotto i tuoi occhi e non lo vedi. Un oggetto, una foto, una frase scritta sulla copertina di un libro, un libro stesso. Poi d’improvviso, quella frase in copertina, quel libro stesso, quell’ oggetto, quella foto, si materializzano di colpo illuminandosi in modo tale che diventi praticamente impossibile non coglierne i contorni così definiti.

E ti chiedi come mai potessi non averla mai notata prima.

Eppure quante volte avevo scorso quel lungo elenco di messaggi. Uno al giorno, tutti i giorni a cominciare dal primo.

“Rimani fiducioso e il canto della gioia arriverà. Siamo distanti, sì, ma più uniti che mai”. ( 13 marzo 2020)

La Pandemia, Codogno. Tutto era appena cominciato e…in un attimo ci aveva già teso la mano. Quel messaggio e tutti gli altri erano il suo personalissimo “Never Walk Alone”. Non camminerai mai da solo. Perchè io sono qui. 

“E si deve capire che il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto la forza di andare avanti nonostante la paura”.   (29 marzo 2020)

Li rileggo. Uno per uno. Parola per parola. Ed è come se avertissi la sua mano sulla mia spalla e mentre li leggo ripenso a quante volte lo ha fatto davvero. La sua mano sulla spalla di qualcuno di noi, a sottolineare un momento, un pensiero.

“Le cicatrici sono il segno che è stata dura. Il sorriso è il segno che ce l’hai fatta”(24 aprile 2020)

Me lo sono sempre chiesto. Riparafrasando “Così parlò Bellavista”, di Luciano De Crescenzo, se lui fosse un uomo d’amore o un uomo di libertà. Nel libro, nel film, per chi si è fermato all’interpretazione cinematografica, De Crescenzo racconta che l’uomo d’amore è quello che “fa il presepe”, quello che sceglie il muschio più fresco, che posiziona i pastorelli dal più piccolo al più grande per regalare alla scena quel senso di profondità di cui ha bisogno, quell’eterno divenire che è rappresentato dal corso delle nostre vite.

L’uomo di libertà, invece, è quello che fa l’albero, che se la sbriga più in fretta, ma che non dimentica le tradizione. Rileggendo uno dopo l’altro i suoi messaggi ho capito come lui costruisse l’albero dove sotto aveva già pazzato il presepe, dove libertà e amore facessero integralmente parte dello stesso modo di guardare alla vita, dove amore e libertà fossero il sostegno l’uno dell’altro.

L’ amore per la libertà lo aveva espresso nel suo pensiero di fare Banca. “Come posso cambiare il sitema se non faccio parte del sistema? – diceva – Come posso dimostrare che c’è un modo di fare banca che tiene al centro il cliente? Come posso indicare la via di un cambiamento se non lo dimostro direttamente invece che raccontarlo come se fossi un Solone fuori dal mondo? Facendo la banca mi sono messo alla pari con gli altri banchieri, parto dalla loro stessa linea. Proprio per dimostrare che le cose che dico, sono le cose che faccio. E se le faccio io anche il resto dei miei colleghi banchieri sarà costretto a farlo”.

“Nessuno può tornare indietro, ma tutti possono andare avanti” (28 aprile 2020)

Tutti possono vivere il nuovo giorno come se fosse il primo della propria vita. E per guardare avanti servono occhi nuovi, occhi che sanno guardare al futuro. Come fece quel giorno di tanti anni fa ad una convention.

Salito sul palco, si avvicinò al leggio, quasi lo afferrò e lesse quello che sembrava essere il suo personalissimo patto con il futuro, il futuro delle migliaia di persone che hanno avuto la fortuna ed il privilegio di incrociare il suo cammino, fosse stato per pochi minuti, per tanti anni o per una vita intera.

Quel giorno in tanti non capirono subito quel messaggio. Semplicemente perchè quel messaggio non era di quel tempo. Veniva da un altro tempo, un tempo che nessuno di noi riusciva ancora a vedere, ma che lui invece era già in grado di raccontare.

Noi il presente di un tempo in cui il portafoglio medio in gestione per un consulente finanziario non superava i sette, otto milioni di euro. E lui era pronto ad illustrarci il tempo che sarebbe stato, che sarebbe arrivato. Ineludibilmente.

Lui quel giorno disse: ” Tra qualche anno molti di voi avranno portafogli che supereranno i 100 milioni di euro”.

E quel tempo è arrivato. Esattamente come lui lo aveva descritto

Era consapevole che la felicità è un bene comune che si costruisce assieme, fondandosi sull’unica vera moneta che nessuno potrà mai cambiare in alcuna banca: la fiducia.

Un maestro porta in aula dei palloncini e ne regala, uno ciascuno, ai suoi giovani studenti. Poi invita i ragazzini a scrivere il proprio nome sul palloncino, a posarli sul pavimento e a lasciare l’aula. Una volta fuori, disse loro: Avete cinque minuti affinché ognuno trovi il palloncino che porta il proprio nome.  Fu una baraonda, ci fu una gran confusione ma nei cinque minuti a disposizione i ragazzini non ce la facero a rimettere in fila proprietari e palloncini.

Il maestro a quel punto disse ancora: “Lasciate i palloncini, poi uscite dalla classe. Li richiamò dopo pochissimi minuti… Prendete qualsiasi palloncino e consegnatelo al leggittimo proprietario”. In pochi minuti tutte le caselle andarono al posto giusto. 

Alla fine il maestro: I palloncini sono come la felicità. Nessuno la troverà cercando solo la propria. Invece, se ognuno si preoccuperà di quella dell’altro, troverà in fretta quella che gli appartiene”.  (24 giugno 2020)

Quanti messaggi ci sono ancora…non li posso scrivere tutti qui. Non per i messaggi in se per se ma per quello che generano in termini di ricordi, di storie da raccontare, personali e non.

Come in quel video che ho ritrovato tra i tanti che conservo gelosamente. Lui parlava a dei ragazzi di una scuola. Altro, dei connotati temporali e logistici di quell’intervento, non ricordo. Ma quello che ricordo sono le sue parole che facevano pressapoco così:

“Pensate noi siamo qua in un teatro. Secoli addietro qui probabilmente c’era palude, non c’erano le scuole che frequentate, c’era analfabetismo.  Se noi siamo in questo teatro, se andiamo a scuola è perché chi ci ha preceduto si è dato da fare ed ha cambiato in meglio le cose. Ha reso il mondo più adatto all’essere umano, a noi che siamo qui. .

Ma che mondo consegneremo noi a chi verrà dopo? Da chi dipenderà? Dipenderà dal politico, dalla situazione generale?

Ognuno di voi può fare qualche cosa…

E allora io dico che, per quanto mi riguarda, per tutto quello che ho ricevuto, mi comporterò in maniera che io possa consegnare qualcosa di meglio al prossimo rispetto a quello che ho ricevuto io… Ed è questo atteggiamento di dedizione rispetto agli altri che poi alla fine ti ripaga enormemente… Ecco perché il mio slogan dice: “il modo migliore di essere egoisti è essere altruisti. Quando sei egoista puoi raggiungere tanto benessere ma vivi male. Ed è un benessere che non ha fondamenta solide. Quindi partiamo dalla consapevolezza di quello che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla scuola, dai professori, degli antenati. Partiamo da noi stessi. Qualunque cosa sarete chiamati a fare, distinguetevi, perché starete dipingendo il vostro ritratto. E in più, fate le cose con amore e con passione il resto arriverà …arriverà l’amore,il gioco, la fortuna e la sfortuna e le difficoltà, ma voi avrete  vinto comunue, avrete dipinto il vostro ritratto, avrete cominciato a costruire”.

Siamo in tanti. Bambini con i palloncini, quelli che qualche volta volavano via in cielo. Siamo quelli cresciuti scambiandosi fiducia, vivendo l’uno al fianco dell’altro, supportandosi, sopportandosi a volte, ed anche molto più di questo. Ma è nella ragione della vita.

Avremmo bisogno di tante risposte. Le risposte a tante altre domande che tutti vorremmo ancora fare a lui. Poi mi rendo conto che la risposta ce l’ho già. Mi basta ricordare o, più semplicemente chiedere a me stesso. Ma Ennio Doris cosa avrebbe fatto?

Ed anche se l’ultimo scritto è quello del 23 novembre del 2021, di quella stessa notte di un anno fa in cui scrivevo come sto facendo ora, non c’è timore che di risposte ne troveremo. Ovunque dovessimo cercare.

Le troveremo su una carta di credito che oggi ha addirittura il nostro viso oltre che un Iban. Lo  troveremo in uno sportello bancario, nello sguardo di un addetto ai libretti di un ufficio postale, ovunque ci sia un risparmiatore.

Ovunque si racconti di lui il fiato della platea resta sospeso finchè scatta un applauso spontaneo che, anche adesso, al solo riviverlo, fa accantonare la pelle.

23 novembre 2021-  “Vivi ora ciò che gli altri sognano di vivere nel futuro. Proviamo a fare sempre un passo avanti ogni giorno per realizzare i nostri sogni”.

Ciao Presidente…

 

Leopoldo Gasbarro 24 Novembre 2022

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