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Azionisti “attivisti”: che cosa c’entrano i fondi d’investimento con la giustizia climatica

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Fare fruttare i risparmi dei clienti, mettendoli al riparo dal potere erosivo dell’inflazione, e nel contempo essere determinanti nella lotta per il clima e in generale della sostenibilità: è questa la filosofia alla base dell’azionariato “attivo” svolto dagli asset manager nei confronti delle aziende in cui investono. Stiamo parlando delle società che gestiscono fondi e che, in quanto azioniste, hanno il potere di esercitare un pressing crescente su imprese di tutto il mondo perché migliorino nei valori ESG, quindi sotto il profilo del rispetto ambientale (environmental), degli aspetti sociali (social) e della gestione aziendale (governance). Ne parliamo con il colosso mondiale del risparmio gestito Schroders che, solo nel 2022, ha portato avanti un programma di dialogo su tematiche ambientali con oltre 700 aziende di tutto il mondo, grazie a un lavoro trasversale che ha coinvolto più di 170 tra analisti e gestori di portafoglio. Insomma, un’azione dalla grande forza d’urto – Schroders conta un patrimonio di oltre 870 miliardi di euro – pensata per cambiare davvero le cose, smascherare i finti paladini dell’ambiente e trasferire ai risparmiatori i frutti connessi a un investimento che sceglie le aziende più virtuose. Non si tratta di salvare il mondo, o almeno, non solo. Si tratta di spingere le aziende a rispondere meglio alle sfide ambientali e sociali perché ciò le renderà più competitive. E quindi potenzialmente più performanti in Borsa.

 

Con l’azionariato attivo meno emissioni e società più forti

Quando si parla di ambiente, la materia prima su cui basano le proprie scelte gli asset manager “attivi” sono i piani net zero con cui le aziende delineano in modo preciso come intendono ridurre le emissioni. “Quando esaminiamo i piani di transizione, cerchiamo di capire chi, cosa, dove, quando, come e perché. E utilizziamo queste informazioni per individuare le aziende che hanno le carte in regola per ottenere risultati migliori in un mondo a zero emissioni e quelle che invece potrebbero avere difficoltà”, spiega Carol Storey, Climate Engagement Lead di Schroders. Un fatto questo di grande importanza anche per i piccoli investitori italiani perché un piano net zero ben fatto delinea un percorso virtuoso che, oltre a ridurre le emissioni, rende l’azienda più resiliente favorendone i profitti, mentre uno inadeguato potrebbe essere foriero di delusioni su ogni fronte. Il contesto è molto eterogeneo, ma molte aziende non hanno ancora formulato alcun piano green e quindi rischiano di perdere competitività. Ecco perché Schroders ha deciso sia di sostenere le aziende nelle loro sfide sia di stimolarle con fermezza, prosegue Storey ricordando come il gruppo abbia tenuto un ruolo proattivo anche nelle assemblee dei soci “votando contro gli amministratori di alcune società che non stavano facendo abbastanza”. Il voto non è l’unico strumento: l’azionariato attivo consiste in una più ampia attività di confronto, comunicazione e influenza continua, inclusa la condivisione di idee e buone pratiche. Perché, come spiega l’esperta di Schroders “il nostro ruolo di investitori è quello di supportare le aziende aiutandole a fare tutto il possibile per decarbonizzare, e non semplicemente disinvestire, che non ha alcun impatto sul mondo”.

 

Una transizione “giusta”, specialmente nei mercati emergenti

Il net zero andrebbe perseguito con misura ed equità, tenendo conto del contesto e dei costi sociali imposti sia dal cambiamento climatico che dalla decarbonizzazione stessa. Si parla infatti sempre di più di transizione giusta, ovvero di una transizione allo zero netto che tratti le persone in modo corretto. Un concetto che si sovrappone a quello della “giustizia climatica” e include diversi aspetti, come il supporto alle comunità locali legate ai settori più inquinanti che verranno necessariamente trasformati, o i diritti umani dei lavoratori nelle industrie minerarie, importanti per le tecnologie rinnovabili. “La transizione verso un mondo a zero emissioni è una priorità fondamentale, ma non è l’unico problema”, sottolinea Jonathan Fletcher che per Schroders segue i mercati emergenti. Perché va considerata la differente possibilità di accesso alle rinnovabili nelle aree del mondo. Oltre al fatto che le persone più colpite dagli effetti del cambiamento climatico vivono in Paesi che in realtà hanno contribuito ben poco al problema. “Nove delle dieci città più vulnerabili al cambiamento climatico sono nei mercati emergenti”, ma ci sono anche alcune opportunità, visto che proprio in queste aree hanno sede numerose aziende leader in settori strategici come le auto elettriche o i pannelli solari, prosegue Fletcher. Aggiungendo che nell’ultimo anno Schroders ha avviato un vero e proprio programma per esaminare le società dei mercati emergenti su cui ha investito con i propri fondi “chiedendo loro di porsi un obiettivo di azzeramento delle emissioni a lungo, medio e breve termine, nonché di pubblicare annualmente i progressi compiuti”.

 

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