Economia

Elkann batte cassa a Mattarella per Stellantis. Ma la toppa è peggio del buco

L’erede dell’Avvocato in missione istituzionale al Quirinale per ricucire. In gioco gli aiuti e la tenuta degli impianti italiani, maxi-cassa integrazione a Mirafiori

Elkann faccia a faccia con Mattarella

John Elkann cerca l’aiuto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sugli incentivi auto a Stellantis. La missione diplomatica si è materializzata ieri con l’erede dell’Avvocato impegnato a Roma in una serie di faccia a faccia nei palazzi del potere. Incontri in agenda da tempo, precisano i beni informati, ma che cadono proprio mentre si esacerba lo scontro tra il gruppo franco-italiano e il governo Meloni.

Elkann ha visto, dopo il confronto con il Capo dello Stato, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il governatore di Bankitalia Fabio Panetta per poi concludere con l’ambasciatore Usa in Italia Jack Markell e il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi.

Un bel giretto diplomatico, dove il presidente di Stellantis avrebbe chiesto alle istituzioni di accantonare le polemiche e di guardare invece ai progetti concreti: cioè al tavolo in corso al ministero delle Imprese per centrare l’obiettivo di un milione di auto prodotte in Italia posto da Adolfo Urso.

Il nipote preferito di Gianni Agnelli avrebbe chiesto a Mattarella di intercedere per Stellantis con Giorgia Meloni, non pare però che abbia preso impegni precisi sugli impianti. Nulla si sa ufficialmente del colloquio avvenuto al Colle, nè sono state diffuse immagini dell’incontro. Fatto questo già significativo nel protocollo del Quirinale.

Di certo il Capo dello Stato, pur nella piena disponibilità ad ascoltare le esigenze di una grande impresa che ha accompagnato la storia del nostro Paese, non si è fatto tirare per la giacchetta nè può sposare alcuna fazione. Il Quirinale è e resta super partes, per Dna istituzionale.

In compenso non si può non notare come al pellegrinaggio romano di Elkann sia mancata proprio la tappa con Adolfo Urso. Il ministro, si è detto, era fuori Roma per altri impegni ma nei salotti ancora si sente il rumore dello scambio più che muscolare che ha avuto nei giorni scorsi con Carlos Tavares.

L’amministratore delegato di Stellantis è infatti quasi arrivato a minacciare il governo, dichiarando in una intervista a Bloomberg che senza adeguati incentivi all’elettrico gli impianti italiani sono a rischio. In primis Mirafiori, dove è da tempo acceso l’allarme rosso per la tenuta occupazionale.

Se Tavares non affiderà nuovi modelli alle catene di montaggio di Torino, lo stabilimento storico della Fiat finirà col diventare una cattedrale nel deserto. Enorme nelle dimensioni per il ruolo che finora si è ritagliato come hub delle attività green e delle batterie.

Immediata e piccatissima la replica a Tavares sia di Urso sia di Giorgia Meloni. Il premier, è facile immaginare, non sarà peraltro stata per nulla felice neppure ieri nel vedersi “scavalcata” dal gioco di sponda di Elkann con il Colle e con Giorgetti.

Meloni era di ritorno dal Giappone, dove aveva affrontato anche il capitolo automotive e bollato come “bizzare” le parole di Tavares ribadendo che il governo è interessato “a ogni investimento che può produrre posti di lavoro”.

In poche parole Palazzo Chigi:

  • tiene le porte aperte a un altro costruttore che voglia insediarsi in Italia;
  • è pronta a valutare, se Stellantis lo chiederà, di entrare nel capitale per pareggiare quella quota del 6% nelle mani dello Stato Francese. Fattore che, è il mantra negli ambienti vicini all’esecutivo, penalizza gli impianti del nostro Paese nelle strategie disegnate da Tavares.

Il top manager, che è portoghese di nascita e che tra qualche anno potrebbe raggiungere gli anni della pensione, si muove secondo le logiche tipiche delle multinazionali e della massimizzazione del profitto richieste dalla Borsa.

Tavares deve, però, naturalmente tenere debito conto delle peso politico dell’azionista Macron. Peso oggi non è controbilanciato da parte italiana con un socio istituzionale: il governo di Mario Draghi aveva pensato di risolver il problema schierando la Cdp, ma proprio Tavares aveva chiuso la porta. Primo azionista di Stellantis è comunque Exor, la holding degli Agnelli, con il 13% circa, quindi la famiglia Peugeot con un pacchetto vicino al 7 percento.

Va detto con chiarezza che i problemi del gruppo franco-italiano non sono isolati. Al contrario l’intera industria dell’auto occidentale è messa alle strette dalla spietata concorrenza sferrata dalla Cina, ma di certo non ha aiutato a rasserenare il clima la decisione di Stellantis di produrre la Panda elettrica in Serbia.

La toppa istituzionale che ha provato a cucire ieri Elkann rischia comunque di risultare peggio del buco aperto da Tavares quanto a tensione nei rapporti con il governo. Peccato che sia proprio l’esecutivo a decidere, con la sua maggioranza in Parlamento, sugli incentivi auto.

Lo stanziamento è vicino al miliardo ma è stato diviso in più rivoli. Oltre a sovvenzionare l’auto elettrica, come chiede Stellantis, il governo ha infatti teso ancora una volta la mano ai redditi più bassi, come è accaduto con il taglio del cuneo fiscale.

Urso ha infatti incentivato anche l’acquisto dell’usato e ha introdotto il cosiddetto “noleggio sociale”. Perché il modo migliore per abbattere le emissioni, è il ragionamento, è svecchiare il parco circolante. Posizione che non soddisfa Stellantis, che chiede maggiori risorse per l’auto con la spina.

Probabilmente varrebbe la pena una riflessione collettiva circa l’ossessione green partendo da tre dati di fatto:

  1. Il marchio Fiat ha perso, dopo 96 anni, il primato delle vendite in Italia; colpa anche della scarsità della gamma di modelli disponibili rispetto per esempio alla concorrente Volkswagen.
  2. La Norvegia riesce a essere regina dell’auto elettrica sola perché si sovvenziona con i proventi del petrolio.
  3. Persino Mister Toyota pensa che l’auto elettrica non diventerà mai egemone sul mercato.

Per approfondire leggi anche: il cortocircuito da 10 miliardi di Renault sull’auto elettrica con il caso Ampere.  Qui, invece, come la crisi del Canale di Suez mette in tensione l’industria dell’auto, anche sui pezzi di ricambio.

Mentre infuria la battaglia, però, a perderci è soprattutto il Paese, per la crescente crisi produttiva. Di pochi giorni fa la decisione di una massiccia cassa integrazione a marzo proprio a Mirafiori. I sindacati hanno già chiesto di essere ricevuti dal governo. Forse sarebbe meglio bussassero al portone di  Elkann e di Tavares.

 

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