Economia

I numeri del coronavirus: cattivi esempi di comunicazione

I numeri del coronavirus: cattivi esempi di comunicazione I numeri del coronavirus: cattivi esempi di comunicazione

Osservando e ascoltando cosa ci viene comunicato dai bollettini giornalieri notiamo che veniamo subissati da una serie di dati: il numero giornaliero degli infettati, dei morti, dei pazienti in terapia intensiva dei guariti, etc. Ci viene anche dato il delta di quante unità ci sono in più per ognuna di queste voci rispetto al giorno precedente.

Premesso che il cervello perde attenzione di fronte ad un atto o un comportamento ripetuto, ascoltando questa sequenza giornaliera di dati la prima riflessione è che noi ne perdiamo il significato: Questi comunicati ci fanno abituare alla recita della contabilità ed entriamo nella zona di comfort, cioè di basso ascolto ricettivo. Ancorché i comunicati stampa sono degli atti dovuti, per il nostro cervello diventano quindi qualcosa di abitudinario, non rilevante e anche poco interpretabile.

Poi dobbiamo essere consapevoli che il nostro cervello ragiona per differenza, per confronto e non con i dati assoluti. Quindi avere il dato giornaliero senza una reale comparazione con i dati dei giorni precedenti (il cervello non interpreta il delta) non ci fa percepire se stiamo andando male, malissimo, benino o se siamo stabili.

Avrebbero fatto meglio, a mio parere, ad esplicitare l’incremento dei numeri oltre che in valore assoluto, anche in dato percentuale. Aggiungendo anche una curva tendenziale, che non è stata mai indicata nei comunicati stampa. Solo ieri ci hanno mostrato delle curve durante i comunicati stampa, in occasione del raggiungimento (forse) del plateau dei contagi.

Quindi il cittadino si è trovato di fronte a informazioni poco interpretabili dal cervello (sia in negativo che in positivo). E’ mancato un momento di sintesi (le rappresentazioni di curve grafiche) che avrebbe fatto meglio comprendere l’andamento dei dati.

Non voglio qui soffermarmi sulle strategie del Governo riguardo a cosa avesse voluto comunicare. Certo è che se voleva comunicare rassicurazione avrebbe dovuto comunicare per primi i dati delle persone guarite e non per primi i dati delle persone contagiate o dei morti. Quello che a me è sembrato nella comunicazione dei dati giornalieri era proprio che il Governo aveva l’intenzione di rassicurare la popolazione. Se era questa l’intenzione, non è stata certo messa in pratica con efficacia.

Se invece si voleva allarmare la popolazione per creare una consapevolezza maggiore nel rimanere a casa, cosa che dubito fosse nella mente dei nostri governanti, allora si sarebbe dovuto fare piuttosto che un comunicato con la conta di tutte le varie categorie di infettati, guariti, morti, dare un solo dato quello della numero dei morti, con una crescita ovviamente esponenziale. Questa strategia avrebbe creato un senso di responsabilità maggiore che all’inizio purtroppo non c’è stata e che ha generato l’espansione del numero dei focolai al di fuori delle zone originarie.

Gestire la comunicazione non è un mestiere da ragionieri.  Abbiamo invece ascoltato dei contabili sia alla protezione civile che in regione Lombardia, dove aldilà della doverosa notifica del dato (che si poteva fare tranquillamente con un comunicato stampa scritto) la comunicazione visiva doveva essere più orientata a dirigere verso la percezione di pericolo o di rassicurazione (a secondo della strategia scelta). Io ho assistito ad una comunicazione che dire ondivaga è usare un eufemismo.

Quando ritornerà la normalità dovremmo far tesoro di quanto è difficile comunicare bene al fine di ottenere uno scopo preciso, anziché il suo opposto. Farlo in situazioni stressanti è ancora più impegnativo. Impegnativo ma nè difficile nè impossibile: basta un po’ di attenzione e molta preparazione.

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