Economia

Il Mercato del Lavoro

Siamo di fronte una nuova crisi del lavoro

Alla luce dell’attuale situazione italiana – pandemia, calo del Pil, crisi industriale – mette in evidenza dati inquietanti, nel 2020 sono andati persi 440 mila posti di lavoro, numeri che fotografano decisamente ed impietosamente, una società senza lavoro.

I problemi legati al mondo del lavoro sono molteplici partendo dalla differenza salariale di genere, le donne sono ancora dopo anni di lotte ancora penalizzate rispetto ai colleghi uomini.

L’Italia è al primo posto fra i paesi sviluppati in quanto a percentuale di lavoratori che soffrono uno skills mismatch  cioè quella incompatibilità fra le competenze per cui si sono formati e le mansioni per cui vengono poi occupati, la difficoltà a trovare lavoro nel percorso a loro idoneo è rilevabile all’incirca oltre un lavoratore su tre.

Il fattore più allarmante è rilevabile nei giovanissimi

La disoccupazione sotto l’età dei 25 anni ha generato i cosiddetti Neet, sono ragazzi che non si formano, non riescono a trovare lavoro rimangono disoccupati e non si attivano per cercare un impiego,  questa situazione è omogenea in tutto il paese da Nord a Sud passando per il Centro.

La percentuale di Neet in Italia è la più alta tra i Paesi dell’Unione Europea, giovani che non sono inseriti in percorsi di formazione, praticamente lasciati soli tra paura e disorientamento verrebbe da dire, condizione che genera disagio ed esclusione sociale, privandoli di un futuro.

A tal fine, progetti mirati nei vari territori che valorizzino e rinforzino tutte queste potenzialità che  troppe volte rimangono inespresse e delle quali ne sono vittime troppi giovani potrebbero invece essere risolutive per molti ambiti economici.

Il fenomeno Neet  non è rinvenibile dalla questione imprese nordiste o sudiste,  le attività economiche del Sud in questi ultimi anni non sono state meno attive delle sorelle nordiste, il fattore che le differenzia magari è nel numero, essendo minori al Sud il potenziale di offerta di lavoro si riduce, a questo, va associato un tessuto di interazione diverso per motivi culturali etc..

 

I Working poors

Nel suo mondo variopinto, il mercato del lavoro accoglie anche i Working poors un problema sociale enorme, sono soggetti che trovano si, lavoro ma guadagnano troppo poco rispetto al costo della vita, percependo un salario non adeguato che gli consenta di uscire dalla soglia della povertà.

In Italia la percentuale di lavoratori a rischio povertà è altissimo ed in crescita costante da diversi anni, a tal proposito l’Europa ha messo in campo azioni mirate proprio attraverso il Fondo Sociale Europeo per consentire di  migliorare la qualità dell’occupazione, visto che secondo gli studi effettuati,  una gran parte del problema è legato al basso livello di formazione e di aggiornamento continuo.

I fondi strutturali sono quei canali dalle eccellenti potenzialità capaci di  sostenere gli Stati appartenenti all’Unione per  migliorare nell’ istruzione e nella formazione soprattutto durante il corso della vita lavorativa.  

Molto è imputabile ai tanti e diversi contratti di lavoro che tra i vari comparti lavorativi, registrano gap ampissimi, sembra strano ma il tanto dileggiato settore pubblico definito per leggenda metropolitana “protetto” è il settore che più potrebbe soffrire il working poors.

E’ un comparto che merita decisamente uno studio approfondito e opportunamente dedicato,  dal quale si ricaverebbero interessanti  elementi dagli aspetti poliedrici,  che vanno dalla sudditanza psicologica, alla mancanza di riconoscimento professionale, alla mancata gratificazione, alla spersonalizzazione del lavoratore e, soprattutto al salario decisamente inferiore paragonato al costo della vita e troppo spesso alle tante responsabilità a cui sono chiamati ad adempiere.

Tutte condizioni che generano ineluttabilmente disinnamoramento, mancanza di stimolo e perdita di autostima nella maggior parte (70%) dei lavoratori pubblici, forse, tralasciando l’aspetto clientelare e rimettendo in discussione la meritocrazia si potrebbe risolvere quel “mistero” di “scadente offerta dei servizi ai cittadini”.

 

Il mercato del lavoro ha due facce:

  • Dalla parte del datore di lavoro, l’impresa   dovrebbe guardare sempre più all’internazionalizzazione,   interagire sempre più con  il mercato estero vendendo propri prodotti, acquistando da fornitori esteri, ciò consentirebbe maggiore sviluppo e maggiore offerta di lavoro. Puntare sulla digitalizzazione offrendo una forte leva al business riducendo l’errore e lo spreco delle risorse per l’imprenditore.
  • Dalla parte del Capitale Umano lo sforzo di sentirsi “lavoratore europeo” allargando la ricerca al di là dei propri confini nazionali, formarsi ad un livello competitivo internazionale, e aprendosi alla indispensabile formazione continua “Life Long Learning”, dogma dal quale ripartire.

E’ sempre bene ribadire che è indispensabile e indiscutibile il continuo aggiornamento professionale e soprattutto trasversale per restare al passo con l’innovazione specialmente per gli over 50 che tornano allo stato di “disoccupato” e devono ricollocarsi nel mercato del lavoro magari sforzandosi di cambiare la forma mentis aprendosi ad un sistema economico digitale , trovando nuove chiavi di realizzazioni non rimanendo  fermi negli stessi ambiti in cui sono cresciuti.

In questo momento congiunturale decisamente degradato per di più con una situazione economica di lungo periodo molto critica, le due sfide che attendono il nuovo Governo e le politiche attive del lavoro, sono davvero enormi, arginare la disoccupazione e rivedere il sistema lavoro in Italia a 360 gradi, anche rispetto all’Europa, dove invece la disoccupazione registra un calo.

 

Lorena Polidori

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