Economia

Le cicatrici delle crisi bruciano a chi non sa approfittarne

Gli appassionati di Harry Potter sanno benissimo di cosa parliamo quando accenniamo alla famosa cicatrice di Harry, cicatrice che gli lasciò quando era ancora in fasce il cattivo della saga, Lord Voldemort, il mago oscuro  che vuole conquistare il mondo (almeno quello magico).

Tutta la saga (i libri e soprattutto i più noti film) verte sulla lotta fra Harry e Voldemort e la cicatrice è un segno che ciclicamente ritorna durante le avventure narrate dalla  scrittrice  J. K.  Rowling: è  il  “segno”  che  ha  lasciato  una  traccia indelebile nella vita di Harry e che rappresenta un legame, un ricordo vivido e doloroso e che ogni tanto ritorna (quando Harry incontra o pensa a Voldemort la cicatrice si infiamma dandogli un forte dolore).

Non solo nei film ma anche nella vita reale alcune cicatrici lasciano su di noi dei segni che non vanno mai realmente via o che necessitano di anni per scomparire e che continuano a condizionare la nostra vita perché il dolore al quale sono legate incide ancora ad anni di distanza.

La nostra forza allora è quella di non lasciarci condizionare e guardare avanti.

Nel 1988, giovane impiegato in una società di leasing dell’allora IMI (Istituto Mobiliare Italiano), partecipai con entusiasmo a quello che fu il primo acquisto di azioni nella mia vita: da appassionato lettore del supplemento Affari & Finanza di Repubblica (ricordo ancora gli articoli del grande giornalista economico Giuseppe Turani) ero diventato un “conoscitore” delle vicende del capitalismo italiano e del suo mercato azionario che viveva un momento di euforia proprio in quegli anni dopo un decennio di sofferenza negli anni ‘70.

L’occasione per passare da lettore a investitore fu quella del collocamento in borsa delle azioni Enimont, il colosso della chimica italiana nato dalla fusione tra l’azienda pubblica EniChem e la privata Montedison: 15.500 miliardi di lire di fatturato, 50.000 dipendenti, tra i primi dieci gruppi mondiali del settore; sembrava la soluzione a tutti i mali che affliggevano il settore della chimica italiana in quegli anni.

Enimont fu collocata in borsa a 1.420 lire con un clamoroso successo dell’offerta: 280.000 richieste di sottoscrizione per oltre sei miliardi di azioni prenotate.

Al suo debutto la sua capitalizzazione ne faceva il quarto titolo del listino: sembrava che il capitalismo italiano (pubblico e privato) avesse finalmente trovato la sua strada, e invece le cose andarono malissimo.

Non voglio qui ricordare tutta la vicenda, finita col suicidio di Raul Gardini e Gabriele Cagliari, con un maxi-processo e con una storia di tangenti

Parlo invece delle conseguenze: Enimont alla fine abbandonò il listino, non ricordo nemmeno a quale prezzo; ricordo però la cicatrice lasciata nel giovane Massimiliano Maccari che da entusiasta neofita dei mercati finanziari si ritrovò a piangere sulla sua sfortuna e ritornò ad acquistare i più sicuri Bot.

In quel periodo peraltro sottoscrissi anche due piani di accumulo tramite un consulente finanziario Fideuram: ImiCapital e ImiRend; facevo parte del gruppo IMI (lo stesso di Fideuram) e da giovane che viveva ancora a casa potevo risparmiare 200.000 lire al mese.

Anche lì però incappai in un momento di mercato negativo che mise in dubbio le certezze sulla validità dell’investimento azionario: in quel frangente però fu soltanto il mio comportamento, sbagliato, a determinare la sconfitta: sulla scia delle emozioni vendetti tutto (nonostante il parere negativo del consulente) e portai a casa una perdita (a mia discolpa porto la giovane età: 23 anni): la cicatrice tornava a bruciare.

Ma non è finita: nel 1990 , venticinquenne, venni trasferito alla filiale di Milano e lì conobbi alcuni dei più importanti consulenti finanziari del Nord Italia, così fu naturale diventare nuovamente cliente aprendo stavolta dei pac su fondi azionari internazionali: ImiEast e ImiEurope.

Anche stavolta però non finì bene: con la crisi del 1992 le mie convinzioni vacillarono nuovamente, tenni duro fino al 1994 quando mi licenziai e tornai a Roma vendendo tutto: il Giappone era entrato in crisi e io riportai ancora una volta una perdita.

Finalmente nel 1995 entrai come consulente finanziario nell’allora Dival del Gruppo Ras e mi trovai a dover investire la mia liquidazione: questa volta non si trattava di poche centinaia di migliaia di lire in un pac (Piano di Accumulo del Capitale), era necessario investire una somma importante anche in un pic (Piano In Contanti).

Anche il ’95 non fu un anno facile: in Italia era caduto il primo Governo Berlusconi e gli era subentrato Lamberto Dini, i Btp crollarono (il primo Btp ventennale della storia era precipitato a 68 da 100 di nominale) e la borsa italiana non andava granché bene.

Quella volta però non mi feci sopraffare dalle emozioni: investii diversificando tra azioni e obbligazioni, tra Italia e resto del mondo (all’epoca gli italiani erano ancora molto “nazionalisti” negli investimenti) e – anziché “scappare” come le altre volte – approfittai dei prezzi “scontati” che trovavo nel mercato.

La crisi, una delle tante che ho attraversato in tutti questi anni, finì e – finalmente – la cicatrice smise di bruciare: avevo finalmente capito che la volatilità del mercato è una caratteristica del mercato stesso e che nei momenti difficili non si deve gettare la spugna uscendo dal mercato e riportando a casa delle perdite (che ricordo, solo a quel punto diventano tali).

Fu l’ultima crisi? Assolutamente no! Ma ormai avevo imparato la lezione; come disse Benjamin Graham: “Il segreto del successo finanziario è dentro di voi. Se imparerete a pensare criticamente, senza credere ciecamente a quanto viene detto dai media, e investirete con paziente fiducia, potrete trarre un profitto costante…con disciplina e coraggio potete evitare che gli sbalzi d’umore influenzino il vostro destino finanziario. In definitiva, il comportamento dei mercati in cui investite è molto meno importante del vostro”.

Massimiliano Maccari, 17 ottobre 2022

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