Economia e Finanza

Mercato obbligazionario: il ricordo degli anni 70

Per chi, come me, è nato negli anni ‘60 (io sono del 1965) gli anni settanta sono stati gli anni dell’infanzia e poi dell’adolescenza.

Noi siamo stati la generazione delle classi di 30 bambini e dei turni pomeridiani (parleremo in un altro numero della demografia in Italia e di cosa vuol dire), siamo quelli che tornavano di corsa a casa il sabato a pranzo per vedere “Oggi le comiche”, che hanno scoperto i cartoni animati giapponesi (da Heidi a Goldrake) e i film giapponesi (chi non ricorda il mitico Godzilla con effetti speciali a dir poco pionieristici?).

Siamo della generazione che faceva la spesa al negozio sotto casa, in cui tutte le famiglie avevano un conto aperto presso il negozio che veniva saldato a fine mese (“Segni nel quaderno che poi passa mamma a pagare…”).

E siamo quelli che hanno vissuto in prima persona il fenomeno dell’inflazione, che inizia a insinuarsi alla fine degli anni sessanta ed esplode con lo shock petrolifero del 1973 che coglie l’Italia completamente impreparata (non solo noi a dire il vero): con lo scoppio della guerra del Yom Kippur e il successivo embargo del petrolio il prezzo del barile esplode, triplicando in pochi mesi.

L’inflazione diventa un termine conosciuto da tutti e, in Italia, assume connotati preoccupanti: il “costo della vita” non scese mai sotto il 10% dal 1973 al 1984 toccando il picco del 21,2% nel 1980; Celentano per rappresentare i tempi canta Svalutation e Rino Gaetano scrive Spendi Spandi Effendi con chiari riferimenti alla carenza di benzina.

Di quel periodo ricordo in particolare i miniassegni: in seguito alla scarsità delle monete metalliche e per superare il divieto di emettere moneta le banche italiane iniziarono ad emettere dei particolari tipi di assegni circolari, di taglio contenuto, che venivano scambiati di mano in mano come denaro corrente: fu uno dei tanti simboli di quel momento con i prezzi dei beni che salivano continuamente e con rapidità impressionante.

I miniassegni sono fortunatamente solo un ricordo e un oggetto da collezione; l’inflazione, dopo il picco del 1980 seguito al secondo shock petrolifero dovuto alla rivoluzione in Iran, iniziò – grazie anche alle politiche di austerity e di rialzo dei tassi di interesse, specie in America dove il Presidente della Federal Reserve Paul Volcker varò le misure draconiane note come “Volcker Shock” –  gradualmente a scendere e non fu più un problema sino a un anno e mezzo fa.

Anche i tassi di interesse, dopo il picco del 1981 (massimo storico di rendimento dei titoli di stato in America ed Europa), ebbero un’inesorabile e costante discesa fino ad arrivare al paradosso dei tassi negativi degli ultimi anni.

Nell’ultima parte del 2021 in seguito alla pandemia il fenomeno inflattivo ritorna sulle pagine dei giornali, dapprima come notizia di secondo piano ma poi, con lo scoppio della guerra in Ucraina deflagra fino a toccare le vette dimenticate degli anni ‘70: 9% in America e oltre il 10% in Inghilterra ed Europa.

Proprio ieri parlando con una cliente della complessità della situazione attuale lei mi diceva: “Massimiliano ma sai che a distanza di qualche settimana ho visto aumenti del 20-30% nei prezzi di alcuni generi alimentari che compro sempre (latte, pasta e pane per fare solo alcuni esempi)?”.

Ma come ci si difendeva negli anni settanta dall’inflazione? Beh è proprio in quegli anni che gli italiani diventarono dei Bot people, sottoscrittori in massa di quei titoli di stato – come i Bot appunto – che in cambio di temporaneo prestito allo Stato ricompensavano lautamente (e senza apparenti rischi) i partecipanti.

Per decenni gli italiani acquistarono quantità monstre di titoli di stato (dai Bot ai Btp, dai Ctz ai Cct); il primo – parziale – stop si ebbe con la crisi dell’Italia del 2011 che fece percepire, per la prima volta, che anche i titoli di stato avevano una loro rischiosità, erano obbligazioni, soggette come tutte le altre alle leggi di mercato.

Dopo il picco temporaneo nei rendimenti dell’autunno 2011 i rendimenti iniziarono nuovamente a scendere fino ad arrivare a tassi mai visti nella storia (a metà 2021 oltre il 20% delle obbligazioni emesse trattava a tassi negativi e la restante parte a tassi comunque bassissimi.

Dalla primavera dello scorso anno però le banche centrali hanno iniziato un ciclo di rialzo dei tassi mai visto in precedenza in termini di rapidità e intensità.

E se l’effetto negativo è stato un calo senza precedenti dei prezzi/valori dei titoli obbligazionari quello positivo è l’aumento dei rendimenti.

Considerazioni finali:

  • La corsa dell’inflazione sembra finalmente rallentare; gli ultimi dati, seppur più lentamente del previsto, confermano il calo nella corsa di beni e servizi;
  • Il rialzo dei tassi dovrebbe essere prossimo alla fine, prima in America dove la Federal Reserve ha già detto di essere pronta a una pausa,  poi in Europa;
  • In quasi tutti i segmenti del mondo obbligazionario i rendimenti sono ai massimi degli ultimi 10-15 anni
  • Già oggi il rendimento delle obbligazioni rappresenta uno scudo contro il carovita e a maggior ragione lo sarà quando il livello dell’inflazione tornerà nel target indicato dalle banche centrali (2-3%);
  • Il treno dei rendimenti probabilmente sarà ancora fermo in stazione per qualche mese ma poi partirà, e chi lo perde non potrà più salire a bordo (perlomeno a quei tassi).

Nel 2008, nel pieno della crisi Lehman Brothers, Warren Buffett (il leggendario investitore americano, oggi novantaquattrenne) scrisse: “Non posso prevedere i movimenti a breve termine del mercato. Quello che è probabile, tuttavia, è che quest’ultimo si muoverà più in alto ben prima che il sentimento o l’economia si alzino. Quindi, se aspetti i pettirossi, la primavera sarà finita.”

Massimiliano Maccari, 16 maggio 2023

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