Esattamente venti anni fa entrava in corso legale l’euro. Carlo Azeglio Ciampi negli anni novanta prima in Banca d’Italia poi da presidente del Consiglio e infine da ministro del Tesoro con a fianco il direttore generale Mario Draghi, ci condusse all’impresa tutt’altro che scontata di entrare come primi iscritti nel club esclusivo della moneta unica europea.
Quel successo, e di questo si tratta visto che ormai le magliette No-Euro sono scomparse dagli armadi anche dei vari Salvini e Di Maio, gli valse nel 1999 l’elezione a Capo dello Stato alla prima votazione con oltre 750 voti da parte dei circa mille grandi elettori. Ciampi fu un presidente patriottico e repubblicano. Ridiede lustro alla storia risorgimentale, al valore del tricolore e dell’inno di Mameli come simboli dell’unità nazionale. Ma seppe soprattutto condurre la nazione, facendo leva sull’articolo 11 della Costituzione che ripudiando la guerra promuove il processo di integrazione sovranazionale, ad essere parte integrante di un sistema politico ed economico continentale.
A pochi giorni dall’elezione del nuovo capo dello Stato molto si discute sul significato del termine patriottico. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, vuole un patriota al Quirinale. E con questa parola indica un uomo capace di difendere soprattutto i confini nazionali, il lavoro degli italiani, i simboli legati ad una certa tradizione religiosa e sociale dell’italianità.
Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, è al momento il patriota individuato dai leader del centrodestra. Quello che se eletto al quarto scrutinio, prima sarebbe davvero impossibile, avrebbe la caratteristica più apprezzata dalla Meloni: la capacità di spaccare il parlamento e il Paese e precipitarci verso le elezioni politiche più divisive della storia repubblicana in piena pandemia.
Nel suo ultimo discorso di fine anno il presidente Mattarella ha voluto rimpadronirsi della parola patriottismo. Ha voluto ridare alla parola patria il senso attuale e autentico derivante dal legame con i valori repubblicani e i principi costituzionali.
“Il volto reale di una Repubblica unita e solidale” per Mattarella è da cercare nei rappresentanti delle istituzioni, come i presidenti di Regione o come chi ha incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone. “Questo è il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica”. Patriota dopo l’orrore della seconda guerra mondiale causata dal nazifascismo vuol dire unire, non dividere. Essere solidali, non escludere. Riconoscere l’uomo, prima del cittadino. Promuovere, non solo difendere.
Per Mattarella il futuro Capo dello Stato deve saper garantire l’unità istituzionale e l’unità morale del Paese. Deve “spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno”. Ma soprattutto non deve utilizzare il settennato per modificare le prerogative del ruolo di Presidente della Repubblica: deve “salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore”.
Mattarella compie implicitamente una perimetrazione dei valori costituzionali entro i quali è possibile individuare il suo successore. Patriota, va bene, ma un patriota repubblicano. L’area ampia del governo di unità nazionale accoglie al suo interno forze politiche che hanno dovuto abiurare la loro sfacciata posizione anti-europeista. Il patriota repubblicano sente l’Europa come terra dove promuovere i valori e i diritti di tutti gli uomini, non solo dei suoi cittadini. Luogo dove i nazionalismi piano piano dovranno fare spazio ad un sentimento di appartenenza più ampio.
Realtà politico-economica nella quale l’evento della pandemia ha consentito di accelerare quel processo di condivisione fra i bilanci statali del debito comune. Processo indispensabile per rendere un territorio largo una comunità vera. Dopo la moneta, dunque, il debito comune. Questa la sfida politica dei prossimi anni a livello continentale.
Mattarella indica nel futuro Capo dello Stato un patriota repubblicano che non difende il piccolo recinto di una identità nazionale che si riflette in uno specchio vecchio e arrugginito, ma che sia capace di promuovere una nuova identità plurale, amplia, inclusiva della nostra Repubblica. Una, fra ventisette.
Il 2021 è stato per il nostro Paese un anno incredibile: una strambata politica ci ha risollevato nella sfida alla pandemia e ci ha ridato slancio sul fronte economico; successi sportivi e musicali hanno accompagnato le nostre serate estive; perfino un nobel per la fisica è servito a ricordarci che abbiamo la capacità di decodificare gli schemi complessi e dare un senso matematico o ciò che appariva prima solo bello, ma inutilmente.
La combinazione di milioni di scelte individuali determinano il senso di marcia collettivo che una comunità intraprende. Il 2022 ci potrà confermare se abbiamo vissuto solo una parentesi o al contrario è davvero iniziato grazie all’evento esterno della pandemia un momento di riflessione collettiva che ridefinisce i valori e gli obiettivi della nostra comunità. I primi a dover compiere questo compito in gennaio saranno 1009 persone, in rappresentanza di una intera nazione. Esse avranno il compito di scegliere il futuro Capo dello Stato italiano. Una scelta che non riguarda solo un ruolo politico, ma l’idea stessa di comunità che vogliamo essere.
Sapranno i grandi elettori rispecchiarsi nei valori costituzionali e repubblicani e guardare all’Europa come futura casa comune, istituzione politica capace di condividere i debiti di ciascun europeo o preferiranno rintanarsi dentro un recinto identitario angusto? L’elezione di Mario Draghi al Quirinale non solo potrebbe dare l’avvio ad un processo di ridefinizione delle regole costituzionali sul fronte della forma di governo, ma proseguire quel lavoro iniziato da Ciampi per confermare una volta di più il nostro destino nazionale dentro la cornice europea.