Esteri

La guerra energetica

Esplosioni Nord Stream, il retroscena del Guardian

La nuova pista che cerca di individuare il responsabile delle esplosioni ai gasdotti

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C’è ancora la fuga di metano dai gasdotti Nord Stream 1 e 2 al centro delle tensioni tra Ue e Russia. Dopo la dichiarazione di Putin dell’annessione di quattro regioni ucraine, arrivata ieri con una pomposa cerimonia nelle stanze del Cremlino; il probabile sabotaggio, ai principali canali di forniture da Mosca al nostro continente, rimane tra le prime pagine dei quotidiani mondiali.

Dopo le accreditate piste del Tagesspiegel, per cui si potrebbe trattare o di un attacco di sommergibili e sommozzatori russi, oppure di un’azione destabilizzante ucraina; è tornata in voga una terza tesi, presentata direttamente dai vertici di Mosca: l’attacco premeditato sarebbe di matrice americana. Questo perché Joe Biden, il 7 febbraio, durante un incontro alla Casa Bianca con il cancelliere tedesco Scholz, avrebbe annunciato la “fine a Nord Stream 2”, in caso di invasione dell’Ucraina.

Il mistero, comunque, continua ad infittirsi. A porre ulteriori interrogativi sulla vicenda è stato anche il Guardian, il quale sostiene che le fughe di gas siano state causate da una bomba, piazzata da “un robot addetto a funzioni di manutenzione”. Nel corso delle scorse settimane, la Russia ha più volte interrotto le forniture di metano verso l’Europa, con la giustificazione – o la scusa – di una revisione agli impianti di Nord Stream. Se tale pista, offerta da alcuni esperti che il quotidiano ha tenuto anonimi, sarebbe quella corretta, ecco che “la natura sofisticata e la potenza dell’esplosione aggiungerebbero peso ai sospetti che gli attacchi siano stati effettuati da un potere statale, con le dita puntate contro la Russia“, aggiunge il Guardian; a cui si affiancano le numerose minacce del Cremlino, nelle settimane scorse, di poter “distruggere le infrastrutture energetiche”.

A ciò, aggiungiamo un dato, che a prima vista non pare essere una coincidenza. I governi di Svezia e Norvegia, i due Stati interessati dalle fughe nel Mar Baltico insieme alla Danimarca, hanno sostenuti di pari passo che l’anomalia si è verificata proprio in una zona di discarica di armi chimiche. E quindi non solo pericoloso da un punto di vista ambientale, ma soprattutto sanitario e sociale.

Decisivo, sotto questo profilo, è stata l’inchiesta dello Spiegel, il quale è riuscito a stimare la potenza dell’esplosione, grazie alle letture sismiche offerte dai professionisti della materia: i gasdotti Nord Stream sono stati colpiti in punti diversi con 500 chilogrammi di tritolo, l’equivalente di una vera e propria bomba. Un attacco di tale portata, specifica lo Spiegel, ha intaccato più di 800 milioni metri cubi di gas, ovvero la stessa quantità di metano utilizzata dalla Danimarca nell’arco di tre mesi. Sul caso, comunque proseguono le indagini dell’Istituto del Trattato di proibizione delle armi chimiche, presso l’Università di Helsinki. Ma la Russia diventa sempre più la principale indagata.

Matteo Milanesi, 1 ottobre 2022

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